al maestro Ingo, il quale 
spiegò una pergamena: Guidello, divisato coi colori del suo signore, 
entrò, recando bastone e tromba, e su quello legò il bando pubblicato la 
settimana prima: poi si pose dietro il seggio di Adalberto. E questi, 
appoggiandosi con fierezza ai bracciuoli, si drizzò in piedi, come per 
degnazione, levò la destra all'altezza delle teste, quasi per deprimerle, 
e--Cavalieri,--disse:--quello che lesse il nostro araldo è quanto noi 
pensammo e pensiamo. La festa fu celebrata nella chiesa a maggior 
lode di Dio, il quale ci diede il potere.--Queste le parole, ma il pensiero 
ben diverso. 
Il signore sedette, comandò a Guidello, e Guidello gridò i nomi, giusta 
l'ordine della nobiltà più antica. Venne innanzi Gisalberto, 
conducendosi allato due paggi, uno che reggeva la lancia, l'altro il 
vessillo su un'asta ferrata. Poi il cavaliero Ugo....
Questi aveva vesti nere, affatto nere, lo scudo coi propri colori ricamato 
sul petto, gli sproni d'oro ai piedi: chi l'avesse osservato bene, come 
certo notarono i baroni che stavano con lui, avrebbe scorto che il suo 
ampio giustacuore era stretto fìn sotto alla gola, e non lasciava vedere 
la striscia bianca del collare, sì bene una gorgera a fìtti anelli d'acciaio, 
i primi giri della maglia del giaco. Il suo volto aveva certe rughe sulla 
fronte che di sicuro non vi avevano impresso gli anni, i quali erano 
pochissimi; capegli rabbuffati, come quelli che di recente si fossero 
sprigionati di sotto il ferro di un elmo; gli occhi che pareva guardassero 
innanzi l'adempimento di un disegno, e chi sa quale, a giudicare dalla 
pertinace contrazione delle labbra. Aveva Ugo uno scudiero, vestito 
pure di panni neri, un uomo dall'aria più spavalda che irata, il quale, 
porgendo le braccia in avanti, recava un cuscino coperto da un drappo 
colore di lutto. Messere Adalberto, durante la messa, aveva bensì 
cercato di fìggere gli occhi sopra Ugo, e di avvezzarsi tanto alla vista di 
esso, che, quando colui gli fosso per comparire innanzi, il sospetto e 
l'ira non trapelassero dalla sua persona, e così potesse accogliere 
l'omaggio colla stessa autorità con cui voleva ricevere gli altri: ma Ugo 
col suo scudiero ad arte tenevasi prima dietro ai cavalieri, poi anche 
dietro ai paggi, nel canto più oscuro, nella posa più dimessa. Aveva 
pensato Adalberto:--E dov'è il maledetto figlio di Oldrado? Forse che 
abbia sdegnato di presentarsi all'invito? O che tema qualche agguato? O 
che invece lo tenda?--e guardava sul tavolaccio la spada, 
rassicurandosi:--Il filo ne è liscio e lucente, messeri, e pare da gioco? 
Verrà giorno in cui sarà dentato come una sega, e insanguinato come 
quello che mi scuoteva innanzi il padre, quando mi disse che le 
merlature delle rôcche vassalle irridono da beffarde!--e qui Adalberto 
procellosamente risognava un assedio, come voleva!... O Dio! nel 
castello di Ugo non c'era più madonna Guidinga!... E messere, 
soffogando gli antichi strazi dell'amore orrendo nella sua ambizione 
infrangibile, saettava d'uno sguardo i cavalieri lì soggetti, e--Questo me 
lo diede il vecchio, e questo, e questo... Oh lasciate fare anche a me!--e 
si tormentava:--E quell'Ugo?--Guarda, guarda: l'aveva veduto 
finalmente! Era là, volto all'altare, appoggiato, come stanco, la spalla 
destra alla parete, tutto in ombra: la quale posizione non permetteva che 
si svelassero i distintivi che aveva sui talloni e sul petto. Pure lo 
sguardo acuto, reso acutissimo dall'odio, fece sì che messer Adalberto
potesse dal profilo risoluto di Ugo leggere, e tanto e così rabbiosamente, 
che egli si dicesse:--Tal e quale il padre suo, quando mi invitò 
all'instituzione! 
Allorché adunque Guidello chiamò messer Ugo di Oldrado da 
Lanciasalda, il cavaliero, tenendosi allato lo scudiere, si fece avanti con 
un certo passo violento che e' pareva movesse incontro al suo cavallo 
sellato per la zuffa, s'arrestò davanti al seggio del signore, come se 
aspettasse clamore di sfida, poi si chinò, e, chinandosi, diede a divedere 
tutt'altra intenzione che quella per cui era stato chiamato, toccò con 
rustica noncuranza le corregge degli sproni, quasi ad assicurarsi ch'elle 
fossero affibbiate. Messer Adalberto intese troppo bene, e, seduto 
com'era, colla persona appoggiata tutta sul bracciuolo destro, si storse 
tutto sul sinistro; ebbe un movimento verso il tavolaccio su cui gravava 
la spada, e guardò lo scudiero. Questi si stette ritto dietro il proprio 
padrone, e per verità tanto alzava il cuscino che si sarebbe detto 
scambiava l'atto della offerta con quello consueto di porre l'elmo al 
cavaliero. 
Messer Ugo gli disse:--Offrite, o Bonello. 
Adalberto vide il garzonaccio in volto. Ah chi era? Lo sapeva ora! Il 
giovanetto s'era fatto un uomo. Ecco il paggio stesso che recava lo 
stesso cuscino nero, colla stessa aria ribalda, con cui gli aveva detto 
vent'anni prima:--Messer Oldrado è pronto a darvi 
l'omaggio!--Adalberto fissò il garzonaccio. Costui, come se fosse 
ufficio suo l'operare sempre con tristizia, buttò giù dal cuscino il drappo, 
e sporse l'offerta. Intanto Ugo diceva:--Messere, instituzione collo    
    
		
	
	
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