la giovane artista fu completamente dimenticato. Era evidente che non l'avevo preso se non per provare quanto le rincrescerebbe la mia lontananza. Ma poich�� non produceva nessun effetto, era necessario ch'io mi facessi amare abbastanza, perch�� un'altra volta avesse a desiderarmi. Questa argomentazione naturalmente non la formulai n�� colle parole, n�� col pensiero; ma mi sentii irresistibilmente trascinato a ravvicinarmi a Fulvia, e da quel giorno le consacrai tutte le ore, tutt'i momenti che la mia professione mi lasciava liberi.
E rivissero in me i poetici entusiasmi della prima giovinezza, e le timide peritanze e gl'impeti inconsiderati ed i terrori puerili, e l'eterno dubbio e l'eterna speranza.
Con lei sciolsi il riso romoroso della fanciullezza; e mi abbandonai alle vergini emozioni dei primi affetti. Tutto il mondo era rinverdito intorno a me, ed io col mondo.
N�� mai parola esplicita d'amore era corsa tra noi, n�� mai ci eravamo trovati a lungo da soli dopo quella sera. Altri amici erano sempre con noi e tutti la corteggiavano, e parecchi nutrivano evidentemente per lei vero affetto, e speravano. Ed io li trovavo sommamente impertinenti, ed era offeso che Fulvia non se ne mostrasse oltraggiata. Ed io pure l'amavo, e speravo, e non mi credevo impertinente, n�� avrei trovato ragionevole che Fulvia considerasse codesto un oltraggio.
Tutti insieme facevamo lunghe scorribande per le nostre prosaiche campagne lombarde; e talora la mesta Vittoria era con noi; e Fulvia le cingeva la vita, e lungo i campi monotoni passeggiavano abbracciate e parevano la statua del dolore stretta a quella della gioia, il compendio della vita umana.
In tali giorni io non corteggiavo Fulvia, per non offrire alla marchesa uno spettacolo doloroso; e di codesta abnegazione mi sentivo eroico.
Ma allora i miei amici le stavano intorno e le dicevano mille cose galanti, e le davano margheritine a sfogliare per vedere chi di noi l'amasse pi��; ed io mi sentiva molto infelice.
X.
Un giorno ella si ferm�� ritta in un prato con un fascio di codesti fiori e li diede a reggere ad un bel giovane che le stava al fianco. Poi and�� man mano prendendo le margherite, e ad ognuna dava il nome d'uno di noi, poi la sfogliava dicendo: ?_mi ama, poco, molto, di cuore, alla foll��a, mi burla_.?
E codesto fece per gli uomini come per le donne ch'erano con noi, e ad ogni oracolo erano esclamazioni e risa e commenti.
Quando disse il mio nome, io che me ne stavo a due passi con Vittoria, tesi l'orecchio, e sentii battermi il cuore ed accelerarsi il respiro, come se si agitasse una quistione vitale. Sull'ultima fogliolina, cadde la parola ?mi burla.?
--Oh mi burla! esclam��, �� una impertinenza! Perch�� potesse burlarmi bisognerebbe ch'io l'amassi.
Quelle parole gettate al vento, con un lieto riso, mi suonarono al cuore come una sentenza di morte--Bisognerebbe ch'io l'amassi. Dunque non mi amava? Sperava ch'ella si volgesse a riferirmi la crudele risposta del fiore per combatterne la calunnia; ma l'allegra signora pass�� tosto ad un altro nome, e da quello ad un altro, senza pensarvi pi�� che tanto; ed io odiai e maledissi tutti quelli di cui il fiore asseriva che amavano Fulvia molto, di cuore, alla foll��a.
Che mi disse Vittoria in quel frattempo? Che le risposi? Si avvide della mia agitazione? Mi trov�� crudele? O ridicolo? Non ne so nulla; non vi pensai punto. Dimenticai lei ed il mondo; rimasi solo col mio amore. Oh giovent��, giovent��!
Ed i giorni correvano veloci, ed io correva con loro a capo fitto in quella vertiginosa tempesta del cuore; dramma palpitante che si agita nell'intimo del nostro essere, celato al di fuori dalle frivolezze e dai sorrisi.
Fulvia teneva sulla tavola un albo, ed io vi avevo gi�� scritto e riscritto il mio amore in versi ed in prosa. E tuttavia n�� io credevo averglielo rivelato, n�� ella averlo compreso. Perch�� prima e dopo della mia parola che partiva dall'anima, erano altre parole che sa Iddio d'onde venissero. Tutti scrivevano su quell'albo, ed io lo presi in orrore.
Una sera vidi sulla sua tavola tra i fogli di musica, gli albums, i mazzolini di fiori, i libri, i lavori all'uncinetto, che l'ingombravano, un pezzettino di carta su cui, non so chi, aveva scritto parecchie volte Fulvia Zorra. Per tutto il tempo che rimasi tenni quel pezzetto di carta tra le mani, lo piegai in quadrato, in triangolo, ne feci una barchetta, un cappello da carabiniere, un imbuto, e tante altre cose sciocche; e di volta in volta prima di ripiegarlo guardavo Fulvia, poi leggevo il suo nome, poi tornavo a guardarla, e mi pareva di esprimere qualche cosa che ella dovesse comprendere. Quando si fece tardi, e stavamo per congedarci, io e tutti gli altri che eravamo a far la corte a Fulvia, ridistesi accuratamente quel cencetto di carta, e sotto il nome della giovane scrissi in caratteri microscopici Massimo Guiscardi. Poi le

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