tuttavia mi legavano le memorie, le abitudini, la riconoscenza. Se avessi preso quella risoluzione senza l'aiuto ed il conforto d'un nuovo affetto, sarei stato pi�� eroico. Io non fui che un uomo d'onore; accettai la forza piovutami in cuore senza demandarle da qual parte venisse; avevo trent'anni, ed avevo sostenute per quattro anni con fede e costanza le tempeste d'un amore clandestino; chi potrebbe farmi una colpa d'aver accolto nel mio pensiero la speranza d'un amore giovane ed ardente come il mio cuore?
Tuttavia non fu senza lagrime che tracciai quella lettera che doveva frapporsi, barriera eterna, fra me e Vittoria.
Il mio cuore �� buono; sentii il suo dolore, ne presi la mia parte. Dinanzi alla crisi tremenda della separazione, tutti i trasporti si ridestarono in me. La bella figura piangente di Vittoria grandeggi�� ai miei occhi di tutta la nobilt�� della sventura; tutti gl'istinti generosi dell'anima mia mi riportarono verso di lei; dimenticai la lieta artista che non aveva avuto ancora per me n�� un palpito n�� una lagrima.
Se la donna mia fosse stata libera, quel salutare ritorno su me stesso mi avrebbe ricondotto a lei per sempre; ed a lei, a lei sola, avrei domandato ed offerto, nella serena dolcezza d'un amore senza colpa, l'obblio dei nostri torti, dei nostri rimorsi. Un istante gettai la penna e volli correre a lei, ma l'incanto omai era sciolto; e non mi era pi�� possibile di calpestare l'onore e l'amicizia che si frapponevano fra noi. Se prima, cieco ed impetuoso, meritavo perdono, ora ipocrita e consciamente colpevole, avrei meritato disprezzo.
Ripresi la lettera incominciata, ed ebbi il coraggio crudele di compierla; e quando l'ebbi fatta consegnare a Vittoria, mi sentii migliore. Ella mi rispose un biglietto rassegnato e melanconico in cui mi domandava di continuare a frequentare la sua casa per salvare le apparenze, per evitare i commenti. Nella gioia come nel dolore gli amori colpevoli impongono la finzione ed il calcolo.
IX.
Per tutto quel giorno non vidi Fulvia. Omai non era pi�� possibile l'illusione. Non per convenienza, non per vegliare alla felicit�� di Giorgio, ma per me, per la mia propria felicit�� io mi sentivo attratto verso quella strana giovane; il suo sguardo, la sua voce, la lealt�� del suo cuore avevano gettato nel mio i germi dell'amore. Lo sentivo nascere in me, ed un terrore inconscio mi avvertiva di fuggirla. Tuttavia questa risoluzione non era ben determinata, e mentre andavo vagando dalla Galleria al caff�� Martini, e di l�� ai Giardini pubblici, trovando le ore lunghe ed il giorno eterno, non volendo pi�� tornare all'Albergo Milano, dicevo fra me:
?Che mi dir�� quando la rivedr��? Si lagner�� della mia assenza??
E continuavo a ripetere queste parole:
?Quanto tempo che non vi vedo, Max!? e studiavo in esse l'intonazione della sua voce. Dove e quando mi avrebbe salutato cos��, dacch�� non dovevo pi�� vederla?
Non ne sapevo nulla, ma udivo quelle parole, e mi scendevano al cuore; e le ripetevo con tale insistenza che ne ero sbalordito, ed il capo mi pesava come dopo un'emicrania.
Il giorno seguente, alle undici del mattino, stavo in piedi al caff�� Martini dalla parte di via Manzoni. Il mio famoso: ?_Quanto tempo che non vi vedo, Max!_? cominciava a farsi scolorito, e, malgrado tutti gli sforzi della mia immaginazione, non mi riesciva pi�� di riprodurre, nel pronunciare quella frase, l'impressione di dolcezza che mi aveva fatta provare il giorno innanzi. Avevo vegliato tutta notte su quel pensiero. Lo avevo completamente esaurito, e con esso la mia energia, l'immaginazione, e la potenza d'amare. Ero annoiato; mi trovavo puerile d'aver fantasticato come uno scolaro dietro un sogno d'amore; i miei scrupoli a proposito di Vittoria mi sembravano ridicoli; insomma l'uomo raffazzonato dalle abitudini sociali si sostituiva in me all'uomo della natura, in quell'atmosfera del caff�� Martini. Guardavo gi�� gi�� in via S. Giuseppe l'andirivieni di belle signore in toletta da mattina, di bei giovanotti che le adocchiavano; e sbadigliavo ad intervalli misurati, quando udii una vocina graziosa esclamare:
--Oh! il signor Guiscardi!
Era Fulvia accompagnata da Giorgio che andava alla prova dell'opera.
Io mi affrettai a salutarla, ed ella mi disse:
--Come va che ieri non l'ho veduto tutto il giorno?
Nulla dell'intonazione misteriosa e melanconica della frase ch'io sognavo. Ed infatti, perch�� mi avrebbe detto Max? Non me l'aveva mai detto. E dove aveva preso io l'idea ch'ella mi amasse tanto da esclamare quanto tempo! dopo un giorno? �� vero ch'io non aveva stabilito l'epoca del nostro incontro; ma �� altres�� vero che mi giungeva gi�� in ritardo.
Fulvia mi rivedeva con evidente piacere; ma era lieta e serena come all'usato.
--Credevo che mi amasse, ma non �� vero, pensai. E questa contrariet�� mi ridon�� tutto l'ardore giovanile del giorno innanzi; e quella frase scolorita riprese tutte le sue attrattive; ed avrei dato l'anima mia per sentirmi dire da Fulvia:
--Quanto tempo che non vi vedo, Max!
Il mio proponimento di fuggire

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