che i medici gli 
abbiano ordinato.... Se ciò fosse, avrei torto di non porgergli il mezzo 
di proseguire la cura. 
--Via! non ti cruciare, gli dico con piglio incoraggiante--in casa mia c'è
quanto può occorrere ad un malato e ad un sano.... L'istromento che tu 
cerchi, è là, in quella cassetta senza coperchio che vedi sporgere dal 
sottoscala. Non hai altro da chiedermi? 
--Null'altro. 
--Hai tu pranzato? 
--Sì, signore; ho mangiato prima di venir qui.... 
--Vorrai dunque permettere che io pure vada a pranzo.--A rivederci!... 
Ordinariamente alla sera non rientro che a dieci ore; ho meco la chiave 
della porta, e se tu credi di coricarti prima ch'io torni, fa pure il comodo 
tuo. 
--Oh! la si imagini!... So il mio dovere.... Vada pure.... pranzi di buon 
appetito. Frattanto vedrò se nulla manca pel servizio e andrò a 
procacciarmi sulla piazza tutto quello che può occorrere. Rientrando, 
ella troverà tutto in ordine. 
--Buona sera, Gianbarba! 
--A rivederla, signor padrone! 
Io pranzai di buon appetito, feci la mia solita passeggiata, mi intrattenni 
un paio d'ore alla fiaschetteria cogli amici, quindi, in sul far delle dieci, 
rientrai in casa. 
Gianbarba mi attendeva; appena mi vide entrare, egli mi presentò il 
lume dicendomi: non la si dubiti di nulla, io ho dato ordine a tutto.... 
Appena sarà coricato, suoni il campanello e sarò da lei per farle il solito 
complimento.... 
--Non serve, Gianbarba--io non ci tengo ai salamelecche.... Te l'ho già 
detto.... servimi bene.... con fedeltà.... con amore.... come hai servito 
l'altro padrone.... 
--Non la si dubiti!... Vada a letto tranquillo.... e poi mi lasci fare.
Io salgo alla mia camera, mi spoglio, mi corico, e come di abitudine, 
prendo un libro e mi metto a leggere. 
Di là a un quarto d'ora all'incirca, sento bussare alla porta. 
--Chi è là?... 
--Siamo in posizione? domanda dal di fuori la voce di Gianbarba. 
--In posizione!!! che vorrà dire?... entra pure.... 
--E anch'io l'ho qui in ordine! risponde Gianbarba aprendo 
impetuosamente la porta e slanciandosi verso il mio letto coll'impeto di 
chi prende d'assalto una barricata. 
Io balzo sui guanciali, spalanco gli occhi sorpreso, quasi atterrito, e 
vedo che il mio uomo mi prende di mira con quel tale istromento.... con 
quella tal canna.... voi mi capite.... 
--Alto là!.... che scene son queste? 
--Presto.... intanto che è caldo! dice l'altro facendo l'atto di rimuovere la 
coltre.--Ma vedendo che io do di mano al candelliere e minaccio, s'egli 
osa ancora avanzarsi, di gettarglielo in viso, Gianbarba si arresta, mi 
guarda con occhio inebetito di stupore e poi dice con tono quasi 
supplichevole: «la si fidi di me, signor padrone! ci ho della pratica--il 
signor pretore, al quale applicavo tutte le sere il benefizio, non ebbe mai 
a lagnarsi della mia abilità.... Mi lasci fare! mi lasci fare una volta tanto; 
poi, se non l'avrò servito per bene, mi licenzii pure sui due piedi, chè io 
non sarò per lagnarmene. 
Quel poveraccio, parlandomi di tal guisa, ha un'aria sì compunta, che a 
me vien meno il coraggio di rivolgergli una brusca parola o di 
chiedergli una spiegazione. 
--Io credeva, mormora il poveretto abbassando la terribile canna, io 
credeva che tutti i padroni....» E scostandosi dal mio letto, mortificato, 
confuso, col pianto negli occhi, Gianbarba si avvia per uscire; ma al
momento di varcare la soglia, si arresta, torna indietro, e con voce 
interrotta dai singulti mi dice: «io sono un po' duro di testa.... lo so... è 
il mio solo difetto.... Converrà, caro signor padrone, che lei abbia un po' 
di pazienza... Per esempio, mi scusi tanto, ho paura di non aver capito 
bene se.... in quanto sia.... alle sue buone grazie.... volevo dire... al 
salario.... 
--Mi pareva di aver parlato chiaro su tale argomento. Non ti ho detto 
che mi assumo di nutrirti, di vestirti e di darti alla fine d'ogni mese.... 
dieci lire?.... Non ti basta?.... 
Gianbarba mi guarda colla espressione della più sentita riconoscenza ed 
esclama: «ma dunque.... è proprio vero.... che lei si degnerebbe!... 
troppa bontà!... troppa bontà!... come mai avrò il coraggio di 
permetterle?... Basta! i padroni comandano e i servitori obbediscono.... 
Le auguro la buona notte. 
Così parlando, egli uscì, serrò la porta colla massima cautela, e in punta 
di piedi per paura di recarmi disturbo, se ne andò queto queto alla sua 
camera. 
--Un vero scimunito! pensai io ravviluppandomi fra le coltri; ma pure, 
con un po' di pazienza, ne farò un domestico tollerabile. 
All'indomani, mi svegliai verso le otto. 
Tendo l'orecchio, non odo rumore nella casa.--Che colui dorma 
ancora?--Gianbarba! Gianbarba! grido dal letto. 
--Olalà! olalà! risponde il domestico urlando dalla camera attigua. 
--Sei tu alzato? 
--Non ancora.... 
--Mi pare che a quest'ora, per Dio santo, un domestico dovrebb'essere 
in piedi!!! 
--È quello che pensava anch'io attendendo i suoi ordini.
Passa un quarto d'ora, passa mezz'ora--al pendolo battono le 
nove--nessun segno di vita da    
    
		
	
	
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