le banderuole rugginose sui 
comignoli dei tetti. Ma nella camera si godeva un buon caldo; le 
finestre e gli usci erano chiusi; gli arazzi, i tappeti, tutto aiutava a 
mantenere quella tiepida temperatura, che veniva dagli spirali dei 
caloriferi, aperti lunghesso lo zoccolo delle pareti. 
Le dieci erano battute e ribattute da un pezzo a tutti gli orologi della 
città, e il signor Commendatore leggeva ancora. Il giornale era quel dì 
più sugoso del solito, e il nostro gentiluomo, volendo smaltire dapprima 
tutta la parte politica, s'avea lasciato ultimo, come per rifarsi la bocca, il 
racconto di una festa da ballo, data due sere addietro dalla principessa 
di Trestelle, che ecclissava (la festa, s'intende; ma, se volete, anche la 
principessa) quanto di bello s'era veduto ancora in quella stagione. Il 
cronista, che per quella occasione era proprio quel delle feste, avea 
sfoderato tutto il meglio dell'arte sua, e le grazie dello stile e la vivezza 
delle immagini, per essere al paro di quelle magnificenze. In verità, io 
vi dico, non si era fatto tanto sfoggio, nell'anno primo della creazione, 
per alloggiar degnamente la bella genitrice degli uomini, quanto ne 
faceva il cronista, e di cristalli e di iridi, e di latanie e di muse
paradisiache, e di colori e di fragranze, e di ori e di gemme, di trine e di 
merletti, di blonde e di velluti, di gelsomini e di pesche, di sostantivi e 
di epiteti, di luci e di ombre, d'iperboli e di reticenze, per mettere in 
mostra la bellezza diafana della marchesa di Cardona, e quella più salda 
della duchessa di Sant'Angelo; o le grazie ingenue della Borghini, vera 
Sacontala dagli occhi d'indaco; o i biondi capegli delle sorelle 
Woodville, due gigli su d'un cespo: o finalmente le storiche perle della 
contessa Morelli, che riuscivano a parere di piombo fuso (nientemeno!) 
intorno al suo collo di latte. E il furbo cronista, passati in rassegna 
almeno una cinquantina di bei nomi, bellamente portati, conchiudeva 
come un uomo che avrebbe ancor molto da dire, ripetendo il «j'en passe 
et des meilleurs» di Ruy Gomez de Silva, davanti ai ritratti degli avi. 
Di quelle dame il signor Commendatore ne conosceva parecchie, 
incominciando dalla principessa di Trestelle, bellezza matura, od 
acerba, secondo il modo di vedere degli uni e degli altri, ma splendida 
agli occhi di tutti. E poichè il cuore, come dicono, è sempre giovine, 
anche il cuore del nostro gentiluomo grillettava allegramente a quel 
fuoco. Gli occhi della mente seguivano il cronista, e vedevano tutte 
quelle stupende creature sfilare in bell'ordine, man mano che ne era 
fatta menzione. Ed egli ammirava con memore sguardo le conosciute, o, 
da quei fuggevoli tocchi di penna, si raffigurava le ignote, e si sentiva 
in pelle in pelle quel tremito soave che fanno correre in noi tutte le cose 
leggiadre, non dissimilmente dall'acquolina che fanno correre alla 
bocca tutte le cose buone. Non dirò quale effetto facciano tutte le cose 
vere, perchè il vero si può sentirlo in due modi; uno dei quali non è 
punto piacevole. 
Verbigrazia, al signor Commendatore non gli avrebbe fatto piacere di 
sentirsi a dire: «sei vecchio», quantunque non ci fosse cosa più vera di 
questa. Ma questa pur troppo, gliela veniva bisbigliando la coscienza, 
una nemica domestica che non può lasciare in pace nessuno. 
Il giornale, a breve andare, gli era caduto di mano; ed egli, colle braccia 
prosciolte sulle ginocchia, e il capo appoggiato contro la spalliera del 
sofà, andava almanaccando dietro a quel filo che gli avea pôrto il 
cronista.
«Dio di misericordia! Quante belle cose ci sono ancora sulla buccia 
terrestre! Noi s'invecchia, non c'è che dire; ma il mondo, eterno 
adolescente, si rinnova di fronde e fiori ogni giorno. Fiori di prato, o di 
stufa, ogni stagione ci ha i suoi. La primavera, tornata fin qui tanti 
milioni di volte, ritornerà, Dio sa quanti milioni di volte ancora, sulla 
faccia della terra. E noi, quel po' di vita che ci è stato dato per la parte 
nostra, come agl'insetti effimeri, ce lo viviamo davvero? No, in fede 
mia; noi si passa sulla scena del mondo senza capire l'arcano. E quando 
finalmente lo si è trapelato, ci si trova al lumicino, e non c'è più caso di 
mettere un tallo sul vecchio. 
«Pèntiti, Don Giovanni! Ma sì, come dargliela ad intendere, quando 
c'era la gioventù a frastonarlo? Se aspettavano a dirglielo intorno ai 
sessanta, manco male! È vero (e qui il signor Commendatore sorrise 
malinconicamente) che sui sessanta non ci sarebbe più stato bisogno di 
dirglielo. Insomma, così è; giovani, non intendiamo; vecchi, non siamo 
più in tempo a mutarci. 
«E guardate un po' che disdetta! Mai dai miei giorni non ho veduto 
bello il mondo come ora, ora che la esperienza m'aiuta e 
m'insegnerebbe anco ad assaporare lentamente tutte le gioie della vita. 
«Bei ritrovi,    
    
		
	
	
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