Clelia | Page 3

Giuseppe Garibaldi
verso lui: "Sua Eminenza il
cardinale Procopio,--proseguì,--m'incarica di dire a V. S. che egli
desidera avere due statuette di santi per adornare l'entrata del suo

oratorio".
"E di qual grandezza vuole S. E. le statuette?" rispose Manlio.
"Io credo sia meglio che V. S. venga in palazzo per intendersi con l'E.
S.".
Un torcer di bocca del bravo artista fu chiaro indizio che la proposta gli
andava poco a sangue, ma come si può vivere in Roma senza dipendere
dai preti?
Tra le malizie gesuitiche dei tonsurati vi è pur quella di fingersi
protettori delle belle arti e così hanno fatto che i maggiori ingegni
d'Italia prendessero a soggetto dei loro capolavori le favole pretesche,
consacrandole per tal guisa al rispetto ed all'ammirazione delle
moltitudini.
Torcer la bocca non è una negativa, e veramente bisognava vivere e
mantenere decentemente due creature, la moglie e la figlia, per le quali
Manlio avrebbe dato la vita cento volte. "Andrò" rispose seccamente
dopo qualche momento di riflessione. E Gianni con un profondo saluto
si accomiatò.
"Il primo passo è fatto", mormorò tra sé il mercurio dell'eminentissimo;
"ora è d'uopo cercare un posto di osservazione e di rifugio per Cencio".
Il quale Cencio, affinchè il lettore lo sappia, era il subordinato di
Gianni, a cui il cardinale Procopio affidava la seconda parte in così
fatte imprese.
Gianni si affaccendava ora a trovare per Cencio una stanza qualsiasi
d'affitto in vista dello studio di Manlio. Il che gli venne fatto facilmente.
In quella parte della capitale del mondo l'affluenza delle genti non è
mai strabocchevole, poiché i preti, che curano tanto per sé il bene
materiale, non pensano, rispetto agli altri, che al bene spirituale. Ora il
secolo è un po' positivo, bada al tanto per cento più che alla gloria del
paradiso, ed è per questo che Roma, per mancanza d'industria e
commerci rimane squallida e scarsa d'abitatori(7)
(7) Roma ch'ebbe in passato due milioni di abitanti, ne conta ora
appena 210 mila.
Gianni adunque dopo di avere preso a fitto una stanza, come dicemmo,
se ne tornava a casa cantarellando e colla coscienza tutt'altro che
aggravata, sicuro com'era dell'assoluzione che i preti non negano mai
alle ribalderie commesse in servizio loro.

CAPITOLO II
ATTILIO
Di faccia allo studio di Manlio ve n'era un altro, quello dove lavorava
Attilio. Dalle sue finestre questi aveva potuto vedere la Clelia; appunto
così s'era acceso per lei di altissimo affetto.
Clelia vinceva di beltà le più leggiadre donzelle di Roma, e forse era
altera e non vaga di amori, ma quando occhio di donna s'era fiso per
una volta sola nell'occhio del nostro Attilio ed aveva osservato la sua
bella persona, per duro e cinto di triplice acciaio che fosse il cuore di lei,
doveva commuoversi di ammirazione e di simpatia.
Un lampo dell'occhio scambiatosi da que' due era bastato a fissare il
loro destino per tutta la vita.
Ora Attilio, avendo il suo santuario davanti allo studio ov'egli passava
quasi intera la giornata, molte volte fissava lo sguardo ad una finestra
del primo piano ove Clelia lavorava colla madre, e donde la luce
elettrica dell'occhio suo incontravasi quasi di concerto con quella del
suo prediletto.
Attilio quella sera aveva osservato il barcheggiare dello scherano, lo
aveva riconosciuto per manutengolo di qualche pezzo grosso, e l'occhio
suo penetrante, dallo indietreggiare, dalla titubanza e dall'irresoluto
contegno di lui, istintivamente aveva augurato(8) male per la sorte della
bella fanciulla. Imperocché i pochi eletti della popolazione romana
sanno ciò che si possa aspettare dai settantadue(9) tanto più corrotti e
lascivi quanto più son ricchi e potenti non mirano alla bellezza ed
all'innocenza che per profanarle.
(8) Preveduto (N.d.C.) (9) I 72 Cardinali son chiamati cosi dal popolo
di Roma
Non aveva Gianni fatto ancora cento passi all'ingiù verso la Lungara
che il nostro amico già si trovava sulle sue peste seguendolo con aria
sbadata come chi nulla avendo da fare si ferma a contemplare tutte le
curosità che scopre sul davanti delle botteghe e sui frontespizi dei
templi e dei monumenti, di cui ad ogni passo è ornata la meravigliosa
metropoli del mondo.
E lo seguiva Attilio col presentimento di seguire un ribaldo, uno
stromento d'infamia la cui meta fosse quella di rovinare la sua donna.
Lo seguiva, Attilio, tastando il manico di un pugnale che teneva
nascosto in seno.

Vedi presentimento! L'aspetto di uno sconosciuto veduto per la prima
volta e per un solo istante, di uno sconosciuto volgare, aveva svegliato
in quell'anima di fuoco una sete di sangue, in cui si sarebbe bagnato
con voluttà da cannibale.
E ritastava il pugnale: arma proibita, arma italiana che lo straniero
condanna, come se la baionetta o la scimitarra bagnate da lui tante volte
nel sangue innocente, siano armi più nobili d'un pugnale immerso nel
petto d'un assassino o confitto in quello d'un tiranno.
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