verso lui: "Sua Eminenza il 
cardinale Procopio,--proseguì,--m'incarica di dire a V. S. che egli 
desidera avere due statuette di santi per adornare l'entrata del suo
oratorio". 
"E di qual grandezza vuole S. E. le statuette?" rispose Manlio. 
"Io credo sia meglio che V. S. venga in palazzo per intendersi con l'E. 
S.". 
Un torcer di bocca del bravo artista fu chiaro indizio che la proposta gli 
andava poco a sangue, ma come si può vivere in Roma senza dipendere 
dai preti? 
Tra le malizie gesuitiche dei tonsurati vi è pur quella di fingersi 
protettori delle belle arti e così hanno fatto che i maggiori ingegni 
d'Italia prendessero a soggetto dei loro capolavori le favole pretesche, 
consacrandole per tal guisa al rispetto ed all'ammirazione delle 
moltitudini. 
Torcer la bocca non è una negativa, e veramente bisognava vivere e 
mantenere decentemente due creature, la moglie e la figlia, per le quali 
Manlio avrebbe dato la vita cento volte. "Andrò" rispose seccamente 
dopo qualche momento di riflessione. E Gianni con un profondo saluto 
si accomiatò. 
"Il primo passo è fatto", mormorò tra sé il mercurio dell'eminentissimo; 
"ora è d'uopo cercare un posto di osservazione e di rifugio per Cencio". 
Il quale Cencio, affinchè il lettore lo sappia, era il subordinato di 
Gianni, a cui il cardinale Procopio affidava la seconda parte in così 
fatte imprese. 
Gianni si affaccendava ora a trovare per Cencio una stanza qualsiasi 
d'affitto in vista dello studio di Manlio. Il che gli venne fatto facilmente. 
In quella parte della capitale del mondo l'affluenza delle genti non è 
mai strabocchevole, poiché i preti, che curano tanto per sé il bene 
materiale, non pensano, rispetto agli altri, che al bene spirituale. Ora il 
secolo è un po' positivo, bada al tanto per cento più che alla gloria del 
paradiso, ed è per questo che Roma, per mancanza d'industria e 
commerci rimane squallida e scarsa d'abitatori(7) 
(7) Roma ch'ebbe in passato due milioni di abitanti, ne conta ora 
appena 210 mila. 
Gianni adunque dopo di avere preso a fitto una stanza, come dicemmo, 
se ne tornava a casa cantarellando e colla coscienza tutt'altro che 
aggravata, sicuro com'era dell'assoluzione che i preti non negano mai 
alle ribalderie commesse in servizio loro.
CAPITOLO II 
ATTILIO 
Di faccia allo studio di Manlio ve n'era un altro, quello dove lavorava 
Attilio. Dalle sue finestre questi aveva potuto vedere la Clelia; appunto 
così s'era acceso per lei di altissimo affetto. 
Clelia vinceva di beltà le più leggiadre donzelle di Roma, e forse era 
altera e non vaga di amori, ma quando occhio di donna s'era fiso per 
una volta sola nell'occhio del nostro Attilio ed aveva osservato la sua 
bella persona, per duro e cinto di triplice acciaio che fosse il cuore di lei, 
doveva commuoversi di ammirazione e di simpatia. 
Un lampo dell'occhio scambiatosi da que' due era bastato a fissare il 
loro destino per tutta la vita. 
Ora Attilio, avendo il suo santuario davanti allo studio ov'egli passava 
quasi intera la giornata, molte volte fissava lo sguardo ad una finestra 
del primo piano ove Clelia lavorava colla madre, e donde la luce 
elettrica dell'occhio suo incontravasi quasi di concerto con quella del 
suo prediletto. 
Attilio quella sera aveva osservato il barcheggiare dello scherano, lo 
aveva riconosciuto per manutengolo di qualche pezzo grosso, e l'occhio 
suo penetrante, dallo indietreggiare, dalla titubanza e dall'irresoluto 
contegno di lui, istintivamente aveva augurato(8) male per la sorte della 
bella fanciulla. Imperocché i pochi eletti della popolazione romana 
sanno ciò che si possa aspettare dai settantadue(9) tanto più corrotti e 
lascivi quanto più son ricchi e potenti non mirano alla bellezza ed 
all'innocenza che per profanarle. 
(8) Preveduto (N.d.C.) (9) I 72 Cardinali son chiamati cosi dal popolo 
di Roma 
Non aveva Gianni fatto ancora cento passi all'ingiù verso la Lungara 
che il nostro amico già si trovava sulle sue peste seguendolo con aria 
sbadata come chi nulla avendo da fare si ferma a contemplare tutte le 
curosità che scopre sul davanti delle botteghe e sui frontespizi dei 
templi e dei monumenti, di cui ad ogni passo è ornata la meravigliosa 
metropoli del mondo. 
E lo seguiva Attilio col presentimento di seguire un ribaldo, uno 
stromento d'infamia la cui meta fosse quella di rovinare la sua donna. 
Lo seguiva, Attilio, tastando il manico di un pugnale che teneva 
nascosto in seno.
Vedi presentimento! L'aspetto di uno sconosciuto veduto per la prima 
volta e per un solo istante, di uno sconosciuto volgare, aveva svegliato 
in quell'anima di fuoco una sete di sangue, in cui si sarebbe bagnato 
con voluttà da cannibale. 
E ritastava il pugnale: arma proibita, arma italiana che lo straniero 
condanna, come se la baionetta o la scimitarra bagnate da lui tante volte 
nel sangue innocente, siano armi più nobili d'un pugnale immerso nel 
petto d'un assassino o confitto in quello d'un tiranno.    
    
		
	
	
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