ideali, e quale 
ostinazione virtuosa egli abbia messo per vincere. "Ma noi non 
vogliamo più la noia di libri siffatti, che ci diano la biografia d'uno 
scrittore, con l'intendimento dichiarato di offrirci un modello virtuoso. 
Dateci l'uomo come l'avete visto. Penseremo noi alla conclusione, se ce 
ne sarà da farne alcuna, o non ne faremo, che sarà il meglio. 
Risparmiateci dunque i vostri fervorini." Sento già correre in aria 
queste parole più di minaccia che di consiglio; e, mettendomene in 
pensiero, prometto, fin d'ora, che risparmierò i fervorini, quanto mi sarà 
possibile, ma non prometto poi nulla di più: perchè, se, nello scrivere, 
mi accadrà, in qualche momento, che il cuore mi batta un poco più 
rapido, e mi esca per avventura una parola più calda, io non sacrificherà 
quel po' di fuoco che m'accende ancora, ad alcun domma della nuova 
critica; poichè io non ammetto, e lo dichiaro subito, in alcuna opera 
d'arte, principii, i quali escludano il principale, anzi il solo creatore 
d'ogni arte grande, che è il sentimento. 
[1] Che la mia venerazione pel Manzoni sia óramai antica, ne recherò 
qui un breve documento. Ero studente nella Università di Torino; nella 
Facoltà di lettere si era disegnata la fondazione di un giornale letterario; 
io doveva esserne il direttore e proporne il titolo. Posi innanzi il nome 
di Alessandro Manzoni. Ma, temendo pure che al Manzoni potesse non 
piacere che da lui s'intitolasse un giornale di studenti, il quale avrebbe 
potuto riuscir battagliero, gli scrissi, in nome de' miei compagni, per 
domandare un permesso che alla nostra fiera, ma pur delicata, baldanza 
giovanile pareva necessario. Il venerando uomo si turbò all'idea che il 
suo nome potesse diventar simbolo di una battaglia di giovani, e 
c'indirizzò la lettera seguente, finqui inedita, l'autografo della quale 
trovasi ora nelle mani dell'egregio Antonio Ghislanzoni a Lecco: 
"Pregiatissimi Signori, Non ho mai avuto nell'animo un conflitto 
d'opposti sentimenti, come quello d'una profonda riconoscenza e d'un 
vivo dispiacere che m'ha fatto nascere la troppo cortese lettera, di cui 
m'hanno voluto onorare. Ma la benevolenza che attesta in ogni sua 
parte, mi da la certezza che di que' sentimenti non mi rimarrà che il
primo. Per codesta così spontanea e per me preziosa benevolenza, Vi 
prego dunque, o Signori, di non dare al giornale, l'annunzio del quale 
mi rallegra, il titolo che v'eravate proposto. Sarebbe una cagione di 
vero e continuo turbamento alla mia vecchiezza, che, per quaggiù, non 
aspira ad altro che alla quiete. L'indulgentissimo vostro giudizio è già 
una gran ricompensa per de' lavori che non hanno altro merito, che 
d'esser fatti in coscienza. Confido, anzi mi tengo sicuro che non me la 
vorrete cambiare in un castigo, e che potrò goder subito in pace la 
speranza de' frutti che mi promette il saggio del vostro ingegno e del 
vostro cuore. Chiudo in fretta la lettera, perchè arrivi a tempo, come 
desidero ardentemente, e mi rassegno 
_Milano, 1 novembre 1859_. 
Dev.mo obbl.mo ALESSANDRO MANZONI." 
Ricevuta questa lettera stimammo debito nostro, per rispetto alla 
volontà del Manzoni, rinunciare tosto al primo titolo desiderato di 
Alessandro Manzoni, e lo sostituimmo perciò un altro che, nel nostro 
pensiero, doveva riuscire equivalente. Il nuovo giornale s'intitolò per 
tanto: _La Letteratura civile_; ebbe, tuttavia, la vita solita de' giornali 
compilati da studenti. 
 
I. 
Prologo. 
Se bene a molti rechi oramai gran tedio che si parli ancora nel mondo 
del Manzoni, e tra i molti i più siano persuasi che sopra un tale 
argomento, da essi chiamato giustamente eterno, non ci sia più nulla di 
nuovo da dire, dovendo io tener discorso intorno ad un nostro moderno 
scrittore, innanzi ad un'eletta d'Inglesi, presso i quali da Giuseppe 
Baretti ad Ugo Foscolo, da Ugo Foscolo a Gabriele Rossetti, da 
Gabriele Rossetti a Giuseppe Mazzini, per tacere degli onorati viventi 
che hanno insegnato od insegnano tuttora la letteratura italiana in 
Inghilterra, le nostre lettere da un secolo in qua furono sempre coltivate 
con amore, io non ho saputo trovare alcun tèma non solo più nobile, ma 
più nuovo del Manzoni. Non sorridete, o Signori. Io so bene che gli 
stranieri, i quali hanno fatto i loro primi, in verità, non molto divertenti 
esercizii d'italiano sopra i Promessi Sposi e sopra le Mie Prigioni, 
riguardano come stranamente idolatrico il nostro culto manzoniano. Lo 
so, e se credessi che la loro opinione avesse buon fondamento, me ne
turberei; poichè, in verità, se il Manzoni fosse per noi un idolo, innanzi 
ad un idolo lo vedrei solamente possibile una di queste due altitudini: 
adorare tacendo con gli occhi chiusi, che non è il miglior modo per 
veder bene; o passargli accanto sdegnosi, sprezzanti, correndo via, che 
non è, di certo, un modo di veder meglio. Io ammiro grandemente il 
Manzoni, ma non l'adoro, e però, quantunque pieno di riverenza a tanta 
umana grandezza, oserò accostarmele    
    
		
	
	
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