crescendo per 
numero e benevolenza. Dovendo ogni lettura restringersi al breve giro 
di un'ora, dovetti pure, per non abusare della pazienta de' miei cortesi 
uditori, sopprimere parecchie parti del Discorso che io avea preparato 
per la importante & splendida occasione, e che un'ora non avrebbe 
bastato a svolgere. Desidero ora dunque ricolmare nella stampa le 
inevitabili lacune di que' discorsi, lieto d'offrire, per intiero, ai dotti e 
gentili Curatori dell'Istituto Oxoniano e a' miei proprii concittadini il 
frutto di que' pochi studii da me fatti sopra lo scrittore italiano, che ho 
più ammirato nell'età nostra e dal nome del quale tolse pure il proprio il 
carissimo fanciullo nel quale io ho riposto le mie migliori speranze. Mi 
sia ora indulgente la critica, com'io sono sicuro che furono onesti tutti 
gl'intendimenti che mi hanno mosso a scrivere; e chi ha poi qualche 
cosa di meglio e di più da dire intorno al Manzoni lo dica, che non 
troverà, per un tèma così simpatico, alcun lettore più attento di me e più 
desideroso d'imparare. Io non sono, e lo dichiaro subito, idolatra 
d'alcun nome; ma è pure tanto in me il sentimento della grandezza 
dell'uomo che ha chiuso in Italia tutto un secolo di storia letteraria, che 
spero di non essere accusato per falsa modestia, s'io confesso 
ingenuamente che il tèma altissimo mi sgomenta, e ch'io lo riconosco, 
pur troppo, superiore ad ogni mia virtù. S'io dovessi qui solamente 
discorrere degli scritti di Alessandro Manzoni, mi farei animo a 
ragionarne, reso forte ed illuminato dal consenso ammirativo 
dell'universo che legge; ma quando un uomo s'inalza alla grandezza del 
Manzoni, quando, dopo avere contemplato questo mirabile gigante 
dell'arte nostra, è necessità persuadersi che la sua originalità è 
specialmente riposta nel suo modo particolare di sentire, e questo modo 
di sentire non si può bene comprendere e non si ha quindi il diritto di
giudicarlo, se non fa germogliare insieme il proponimento virtuoso di 
conformare la propria vita a que' sentimenti medesimi, io mi domando 
con piena sincerità: "Sono io degno di parlare di Alessandro Manzoni?" 
Io non voglio inalzarmi qui come critico sopra di esso; voglio anch'io 
guardare in su, e con tanto maggior obbligo di Giuseppe Giusti che 
pure avrebbe avuto per la qualità dell'ingegno il diritto di guardare il 
Manzoni in faccia; ma le parole verrebbero a morirmi sopra le labbra, 
se io non sapessi ammirare il Manzoni altrimenti che come un altro 
uomo che sia stato più grande di noi tutti, per sè stesso soltanto, e non 
ancora per lasciarci alcun memorabile esempio. Ora io che ho sempre 
desiderato richiamare molta gioventù della mia terra a ristudiarlo con 
me, io che lo propongo sicuramente ad esempio[1] non lo potrei, non 
dovrei poterlo fare, se prima non avessi fatto promessa a me medesimo 
di seguire docilmente i principii di quella filosofia letteraria che 
ammiro sovra ogni altra. E, pur troppo, per quanto sia grande in me il 
desiderio, sento povere le forze ed insufficienti all'uopo; e ripeto, pieno 
di confusione e di sincerità, il _domine, non sum dignus_. Ma io 
prevedo, pur troppo, a questo punto il moto impaziente di alcuni lettori, 
i quali prima di proseguire avranno già sentenziato presso a poco così: 
"Abbiamo capito, l'Autore ci promette un panegirico, invece d'uno 
studio critico; invece d'un Manzoni diminuito e fatto minutamente, 
come ora si deve, in pezzi, avremo un Manzoni altissimo, iperbolico, 
messo sugli altari ed idealeggiato, per edificazione de' buoni." Chi ha di 
tali impazienze non legga più oltre. Io voglio sì, io spero provare come 
il Manzoni fu grande, com'egli è stato, e sarà forse ancora per molto 
tempo, il massimo de' nostri scrittori; ma chi teme una tale 
dimostrazione, chi non la permette, chiuda il libro; che, in verità, io non 
lo scrivo con la speranza di convertire alcun profano, ma nel desiderio, 
il quale può ingannarmi, ma è onesto, di delineare il Manzoni quale mi 
apparve, dopo averlo ricercato attentamente ne' suoi scritti e nelle 
memorie del nostro tempo; e, poichè ne verrà fuori, come io spero, non 
solo la figura di un grande scrittore, ma ancora quella di un grand'uomo, 
sì mi tenta anche la speranza che alcuno già ben disposto, 
innamorandosi più forte della sua figura, si giovi dell'esempio che sotto 
di essa si cela, come tento io stesso di cavarne come posso alcun 
profitto non solo per l'arte dello scrivere, ma per quella assai più 
difficile del vivere. Da queste stesse parole si deve, parmi, capire che io
non mi propongo di scrivere la vita d'un Santo; se il Manzoni fosse 
stato un uomo perfetto in ogni cosa, non ci rimarrebbe altro che 
adorarlo. Ma poich'egli era mortale come noi e soggetto ad errare ed 
alcuna volta può avere anch'esso umanamente errato, sarà utile a noi 
l'apprendere in qual modo egli vincesse le sue battaglie    
    
		
	
	
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