resta.
Se la gragnuola stermina o più rara
Fa la messe, 
Epulone il ciel bestemmia: 
Il contadin ripara.
Mentre dei campi, alle sfrenate voglie
D'una 
bella, il signor i frutti sperpera, 
Il contadin raccoglie.
Raccoglie e pane e vino e biade e strame
Agli 
uomini e alle bestie e spesso, ah misero! 
Il contadino ha fame.
Se di fortuna cangia la bandiera,
Fatti feroci i 
fortunati stridono: 
Il contadino spera.
Mentre di Dio la provvidenza nega
Sardanapalo 
in suo supremo orgoglio, 
Il contadino prega,
Per molte vie tu ville a te procacci,
O tesorier, 
ma non avanza fabbriche 
Il contadin nè stracci.
Quando sente d'aver compiute l'ore
Di sua 
giornata, all'ospedal si strascica 
Il contadino e muore.
Han sulle fosse i re della fortuna
Croci di 
marmo, di bronzo e di porfido; 
Il contadin nessuna. 
CONCA ALPINA
Dentro il còncavo
Della rupe umido seno,
Non più grande
D'una 
coppa il tuo s'espande
Specchio lucido sereno. 
Il ciel nitido
Vi discioglie l'oltremare:
S'arde in ciel rossa una 
nuvola
Sangue pare. 
Bella a sera
Nel tuo freddo orror ferrigno,
Quando incombe la 
bufera,
Quando trema sul macigno
Un sottil candor lunare. 
Pari a questa
Piccioletta anima mia
La tua conca all'armonia
Apri 
tutta dì natura. 
Sotto i brividi
Della rigida tempesta
Senti il gelo
Che t'invade e 
che t'indura,
Umil conca d'acqua pura
Presso il cielo. 
IL ROSARIO DELLA NONNA 
Pende dal chiodo sul guancial, di grani
fitto il rosario della nonna mia:
pende e sui sonni miei torbidi o vani 
l'ombra distende pia: 
Fanciullo, il tintinnir mi piacque e il lento
volger di questa coronina 
antica;
e ancor quando la tocco ancor ne sento 
uscir la voce amica 
dei cari giorni e dei misteri santi,
che stanno ora confitti al vecchio 
muro:
che non temon di dotti e di pedanti 
il perfido scongiuro. 
Serban le perle le ancor calde impronte
delle tue dita, o nonna, ove 
passasti,
quando inchinata al tuo Signor la fronte 
de' tuoi pensier più casti
gli svelavi i tesori intimi, arcani;
onde non morti ancor dopo 
molt'anni
come piccoli cor battono i grani 
pieni dei santi affanni. 
Forse già tutte consumò le nude
ossa la terra e accanto al sasso pio
della tua tomba già forse si schiude 
un fior che non è mio; 
ma quel che fu tuo spirito immortale
palpita e vive in questo 
scapolare,
che il ciel congiunge colla terra e vale 
per me più d'ogni altare. 
Presso qui sta di gravi opere denso
un armadio di libri, che raduna
in poco il mare della scienza immenso 
che sta sotto la luna; 
che la ragione delle cose amara
mi distilla nel cerebro e l'essenza
com'acido purifica e rischiara 
della volgar coscienza; 
a cui, del capo urtando al vecchio legno,
chiedo la notte e chiedo il dì 
la sorte
del viver mio, ma invan chiedo.--ed un segno 
che plachi un po' la morte: 
chè tutt'insieme il venerando stuolo
non fa più breccia, quando il 
cuore assale,
di quel che faccia lento un vermiciuolo 
nel logoro scaffale.... 
Ma tu, sol che ti tocchi, una dolcezza
versi che definir non san le 
scuole:
scintilla amor e passa una carezza
su tutto ciò che duole. 
Morremo e immota in suo rigor di sasso
starà dei saggi la ragion 
superba:
tu, povera umiltà, col picciol passo, 
ove più dura e acerba 
scende la via, sorreggi il piede e il fianco
alla languida vita; e 
sull'eterna
scala ove trema il pellegrin più stanco 
innalzi una lucerna. 
LA CAPRA ED IO 
Sovra la rupe aerea,
Dove non giunge mai
Foglio di stampa od 
orma d'esattore,
Soli tra spini e cardi
Tra le nebbie emergenti e i 
scialbi sassi
Siamo una capra ed io. 
Non prati, non ovili,
Ma solamente burroni scoscesi
Fra cui 
serpeggia e luccica
Al sol d'un'acqua povera la striscia:
Intorno alto 
il silenzio
Scende nel lento scendere del giorno. 
Io lei rimiro ed essa
Sui piè diritta e rigida
Guarda il borghese 
ignoto che la guarda
E non sappiam che dire.
Qual scienza mai 
d'una barbara capra
Intese i biascicati sillogismi?
Del mio scarso 
viatico
Porgo alla bestia un morsellin di pane,
Che lieta il muso 
sporge
E mangia e ancor ne chiede: io la cornuta
Testa carezzo, chè 
già sento un nuovo
Affetto entrarmi in seno. 
O sacra forza d'un boccon di pane!
Già in fondo agli occhi gialli
Io 
veggo il lento fluttuar di un'anima
Che mi ringrazia; parmi
Che 
anche un pensier si snodi
Tra la cornuta e l'uomo. 
Un picciol suon non più che di zanzara
È degli umani il dire
In riva 
al mar ch'ogni pensiero asconde.
Meglio parla il silenzio
Degli 
occhi che una luce a noi riflettono
Degli infiniti flutti.
"--Amici entrambi del deserto, i cari
Verdi cerchiamo e l'ombre
Dei 
più segreti boschi;
Guardar nel fondo degli abissi e i cieli
Correr col 
guardo è giubilo
Comune---essa mi dice s'io l'intendo.-- 
"Se de' belati tuoi, fratel, l'ascoso
Senso non colgo, la pietà del cuore
Sento nel pan che dài.
Una sola bontà forse ne spinge
Per i sassi 
del mondo
Verso un fonte che scioglie i tristi arcani. 
"Rotta questa di carne e d'unghie e d'ossa
Compagine diversa,
Nel 
ben comune scioglierem le voglie
Or impedite, e cara
In altri mondi 
men ricchi di mali
Sarà di questo incontro la memoria. 
"Però ti prego, o senza-corni, stendi
La mano alla mammella
E un 
po' del latte mio spremi a ristoro
Della riarsa sete:
Chè più del pane 
è dolce
Il beneficio che si rende altrui." 
Obbediente all'amoroso invito
Porsi    
    
		
	
	
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