sua 
tela povera e mortale. 
Chè nel tessuto (e questo anche conoscere
i consigli mi diedero 
materni)
può ricamare ognun d'eterne istorie
con operosa man i 
segni eterni. 
La Mano e l'opra, o mio fanciullo, innalzano
argin non breve al cieco 
andar del fiume,
nè tutto quel che s'inabissa perdesi
in oscuro 
mistero o in vane spume. 
Il Tempo passa, ma restìo sul margine
siede il pensier del navigante. 
Ancora
il fuoco vive del lontan crepuscolo,
mentre già nasce la 
novella aurora. 
De' morti amori ancor le rose ridono
nelle canzoni e la pietade ordita
prega nel sacro arredo a cui la gracile
man della Santa consumò le 
dita. 
Il Tempo passa, ma nel marmo candida
palpita ancora calda alle 
percosse
la bella Ninfa, che stancò di Fidia
la mano e i morti popoli 
commosse. 
Non men se l'ardua chiave intrudi ed agiti
nei giri arcani di ferrato 
scrigno,
senti del morto fabbro uscir lo spirito,
che ti parla così dal 
vecchio ordigno:
"Vivi nell'opra tua, garzon, se il vivere
ti piace e il viver breve anche 
t'è grave: 
0. in marmo o in tela o in un pensier recondito 
0. di mestizia in un lavor soave 
"agita i giorni del tuo Tempo e semina
nella speranza i frutti del tuo 
cuore.
D'una pianta vitale all'ombra pallida
di cento vite rigermoglia 
il fiore." 
"PER QUARANT'ANNI PARROCO" 
Questa nel vecchio sasso
D'un uom la storia, o grande Machiavello!
Ignoto oltre il cancello
Giace sepolto in un coi morti il tumulo
Nell'erba folta antica,
Che ondeggia ai colpi rigidi del vento:
E va 
l'amara ortica
Per l'obliato muro a piacimento. 
Costui di stridi e lagrime
Non fe' sua gioia, nè macchiò le mani
Nel 
vil sangue del popolo,
Come sta scritto dei più chiari eroi:
Non arse 
ville, nè gli piacque il mobile
Trofeo dei penzolanti corpi umani,
Come si legge ne' volumi tuoi:
Non dei tiranni coll'oblique insidie
Il 
pallido coraggio
Sostenne e i nappi taciti di morte,
O crebbe illustre 
di natura oltraggio;
Povero prete, il suo latin col povero
Divise e il 
poco pane e l'umil sorte. 
Di carte filosofiche
Non consumò nè raddoppiò volumi:
Nè dal suo 
labbro balbettante uscirono
Dell'eloquenza i fiumi
D'oziosi grandi 
alto sollazzo e noia:
Predicò, benedisse, al capo languido
De' 
morenti arrecò l'ultima gioia,
Pregando a sè l'eguale in l'ultim'ora:
Cultor d'umili cose
Come chi per amor veglia e lavora
Nel picciol 
orto egli incurvò le pallide
Mani tra i rovi e suscitò le rose. 
Se non parlan di lui le larghe pagine
Che il volgo bacia ed ama,
Se 
della rauca fama
Non vola alto il clangor, nostra è l'ingiuria:
Nostra 
che il falso orniamo
Ed ai superbi alziam templi di lauro,
Mentre la 
dolce ai vivi
Virtù nemmen sepolta adombra un ramo
Di lagrimosi
ulivi. 
Taccia l'insulsa istoria!
Tu sola, o santa poesia, sei vera,
Che il vivo 
senso delle morte cose
E i tenui affetti susciti
In mezzo all'ombre, ai 
sassi, alle nemiche
Care al Silenzio e d'ogni ben gelose
Invidiose 
ortiche.
Ove manchi il sospiro di Natura,
Irrigidite larve e di cuor 
vuote
Stan le passate immagini
Di questa labil vita, che si oscura
Di giorno in giorno in disperato oblìo.
Amor, luce di Dio, le scalda e 
scuote. 
Sia gloria e luce all'ignorato atleta:
Se mai del pianto egli schiarì le 
torbide
Fonti e dei vivi alleggerì le spalle,
Per quante sciolse dalla 
rozza creta
De' suoi fratelli mistiche farfalle,
Per quel che disse e 
tacque
E che non scrisse, o grande Machiavello,
Al vergognoso 
avello
Sia pace e luce e gloria! 
Di lui qual altro fu maggior poeta,
Di lui che tanto umano
Spirito 
strinse nelle sacre dita?
Che val la morta mano
D'un re che impugna 
un'asta irruginita
Di fronte a questa carità serena
Che dei più ciechi 
osò guidare i passi? 
Restino ai grandi i sassi;
Egli altro onor non brama
Di quel che 
colla man leggiera e piena
In mezzo all'erbe il grato april ricama. 
L'AGNELLINO DORME 
Nell'ombra alta del frassino
Dove più l'erba è molle,
Dorme i sogni 
innocenti: 
Sogna la balza morbida,
Il verde ampio del colle,
I giochi e l'acque 
garrule e lucenti. 
Accanto bruca e vigila
La madre e sparsa giace
La greggia in suo 
riposo: 
Mentre un sonar di fistole
Sveglia nell'erma pace
Dell'imminente
sasso il Nume ascoso. 
Dormi, agnellino! Il semplice
Spirto frattanto ignori
Quel che 
prepara il cielo.... 
Or or giunse alla bettola
E cionca tra i pastori
Cieco d'un occhio un 
uom dal rosso pelo. 
Tonda la faccia ed ilare,
Nude le braccia, a sghembo
Sul ciglio alza 
il cappello; 
Mentre affilato luccica
Nel rovesciato lembo
Di sanguinosa tunica 
il coltello. 
Sogna, agnellino, e dissipi
L'alterne orrende voci
A te pietoso il 
vento, 
Perchè non scenda al misero
Tuo cor dei patti atroci
Nel traboccar 
dei nappi lo spavento. 
Il sangue tuo discendere
Dovrà prezzo del vino,
Ma tu, lieto, nol 
sai.... 
Se non è dato il leggere
Nel prossimo destino,
Meglio è sognar così 
come tu fai. 
Perchè superbo e misero
Cerco al saper atroce
Dell'avvenir la sorte? 
Passan le liete immagini
All'ombra della croce,
Che sulla culla ci 
piantò la morte. 
IL CONTADINO 
CANTILENA 
Di nostra vita sparge lentamente
Il mesto pan, più caro al ciel che agli 
uomini,
Il contadin paziente.
Al gelo, al sole, al monte, al colle, al piano
Si 
muove egual la bionda spiga a tessere 
Del contadin la mano.
Quando beati sulla prima aurora
Sognano i 
ricchi nelle piume morbide, 
Il contadin lavora.
Se avvampa agosto torrido la testa,
A freschi lidi 
i cittadini emigrano: 
Il contadino    
    
		
	
	
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