Tempesta e bonaccia | Page 2

la Marchesa Colombi
il mio cuore doveva aver ripugnato all'atto sleale. Certo
doveva aver fatto pressione sulla mia coscienza per amore della donna
mia; per farle il sacrificio de' miei principî... Deve essere un amore ben
grande quello che giunge fino ad immolare le cose più sacre, fin l'onore.
E dopo tutto ciò ella spingeva l'ingratitudine fino a farmi dei
rimproveri... Oh! le donne! E codesto esclamavo inorridito da tanto
egoismo.

V.
Stavo sotto l'incubo di quel legittimo orrore. Ed intanto la mia
delicatezza cominciava a trovare ogni giorno più penosa l'idea di tradire
un amico ne' suoi più cari affetti.
Una sera andai al teatro Carcano. Vi cantava una artista esordiente,
giovane, simpatica.
La sera seguente il Carcano era chiuso. Il direttore dell'orchestra mi
offerse di presentarmi a lei. Ero così triste, che proprio non desideravo
far conoscenze; ma per compiacere il mio vecchio amico, andai con lui
dall'artista all'Albergo Milano.
Trovai che la giovane signora conversava con un giornalista mio amico.
Era Giorgio Albani.
Il vecchio professore si ritirò alle nove. Io, giovane, non potevo
ritirarmi così presto; sarebbe stato scortesia verso la signorina; era
quanto dirle che la sua compagnia non mi tornava gradita.
Mentre io, sempre egualmente sollecito della salute del mio vecchio
amico, lo accompagnavo--sino in capo alla scala,--la signorina disse a
Giorgio:
--E quel signore che non ha preso il cappello e non m'ha salutata? Non
se ne va?
--Perchè? Le dispiace? domandò Giorgio.
--Un poco; ha una cert'aria inquisitoria; quando mi guarda mi sembra di
un'autopsia morale.
--Come s'inganna! È così sbadato, e così buono; quando lo conoscerà
meglio, sono certo che le piacerà.
--Può darsi; ma intanto mi annoia; volevo fare una passeggiata, ma con
quel signore non oso; mi dà soggezione.

--Massimo!? esclamò Giorgio ridendo.--Ma le giuro che egli non aspira
punto a destare questo sentimento nelle signore...
In quella rientrai. Giorgio mi disse:
--Massimo, la signorina mi diceva che desidera fare una passeggiata;
ma ha soggezione di te.
Egli diceva questo in aria di tanta ammirazione... si sarebbe detto che
facesse un merito a sè stesso della timidezza di quella signora.
Giorgio sapeva ch'io non amo in generale le artiste. La libertà delle loro
maniere mi dà uggia. Ed ora sembrava dirmi: Vedi che Fulvia non si
emancipa; e, per essere artista, non cessa d'essere una signora?
Io contavo proprio quella sera di gettare colla mia presenza un raggio di
felicità sull'esistenza della donna mia... Ma all'udire il desiderio
dell'artista... esordiente, giovane, simpatica,--dovetti rassegnarmi, per
delicatezza, a mettermi in terzo con lei e con Giorgio in quella
passeggiata.--Ritirarmi sarebbe stato esternare il sospetto ch'essi
stessero meglio soli... un uomo delicato non offende così gratuitamente
una donna. Così, invece di tergere le lagrime della mia bella marchesa,
mi rassegnai a sopportare il sorriso inesauribile di quella spensierata
giovane. Ella scherzava su tutto. Pareva una cicala, nata solo per
cantare.
Io, che avevo tanto amato i languidi sguardi, gli atteggiamenti
melanconici della donna mia, sempre avvolta in una nube di tristezza,
trovavo insoffribile il cinguettìo di quella nuova venuta.
Ciarlando un po' di tutto, ella venne a dire di essere stata raccomandata
alla marchesa Vittoria Prandi; era la donna dei miei pensieri. E Vittoria,
cortese e generosa, era corsa a vedere la giovane raccomandata nella
sua camera dell'Albergo Milano.
Ora dunque Fulvia desiderava passare la sua prossima sera di riposo al
circolo della marchesa, per ringraziarla della sua cortesia. Pregò
qualcuno di noi a volerla accompagnare. Con che gioia colsi

quell'occasione di vedere la donna mia!
Anche Giorgio Albani si offerse di fare da cavaliere alla giovane artista;
ma egli non frequentava la casa di Vittoria; la conosceva poco; io
invece ero intimo della famiglia; lo persuasi che era più conveniente
che Fulvia vi si presentasse con me, e con me solo.
Ella rimase indifferente a codesta discussione, ed interpellata rispose:
--Per me, purchè vi sia qualcuno che m'accompagni, sia l'uno sia l'altro,
mi fa egualmente piacere.
Facemmo una lunga passeggiata. Fulvia fu allegra, gentile, spiritosa,
ma serbò sempre un certo imbarazzo riguardo a me. Quando mi parlava,
evitava di guardarmi, e non accompagnava il discorso col menomo
gesto.
Si occupava ad abbottonarsi o sbottonarsi i guanti, a cogliere una foglia
ed a ripiegarla in tutti i sensi, e seguiva cogli occhi l'atto della mano,
quasi fosse più intenta a quello che a quanto diceva.
I tratti di spirito che intercalava al discorso, i frizzi con cui presentava
in caricatura una persona o una cosa, detti così senza importanza e poco
accentuati, acquistavano un carattere più umoristico e sorprendevano di
più.
Quando l'avemmo ricondotta all'albergo, Giorgio mi ripetè quanto ella
aveva detto a riguardo mio, mentre accompagnavo il mio vecchio
amico sulle scale.
--Ebbene, dissi, domani a sera non verrò. Non voglio privarla del
piacere d'esser sola con te.
Egli non rispose. Era delicatissimo, prudente, pieno d'onore. Forse
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