che le rimane, per 
gettare l'oscurità su quello, in fondo al cuore forse più caro, che ha 
perduto. È nondimeno prodigioso il vedere questa città, che parve un 
giorno caduta in fondo, sotto il peso di tutte le maledizioni di Dio, dopo 
sette anni, così splendida, così superba, così piena di sangue, d'oro e di 
gloria! E si prova un sentimento inaspettato arrivandoci. S'era partiti 
per l'Esposizione; era lo scopo, la prima cosa. Appena arrivati, diventa 
l'ultima. Parigi che l'ha fatta, l'ammazza. Si pensa, sì, che c'è laggiù, in 
fondo alla grande città, uno smisurato palazzo posticcio che contiene 
molte bellissime cose; ma ci si pensa quasi con dispetto, come a un 
importuno che voglia contendervi e turbarvi il godimento di Parigi. Il 
primo giorno, l'immagine delle Torri del Trocadero m'era odiosa. Così 
al Campo di Marte, estatici davanti a una bellissima ragazza inglese che 
lavora, degnate appena d'uno sguardo la macchinetta ingegnosa che 
luccica sotto le sue mani. 
Arriviamo finalmente sulla Senna. Che largo e sano respiro! E come è
sempre bella questa grande strada azzurra che fugge, riflettendo i colori 
allegri delle sue mille case galleggianti, fra le due alte rive coronate di 
colossi di pietra! Davanti e dietro di noi i ponti lunghissimi confondono 
i loro archi d'ogni forma, e le strisce nere della folla che brulica dietro 
ai loro parapetti; sotto, i battelli stipati di teste s'inseguono; frotte di 
gente scendono continuamente dalle gradinate delle rive e fanno ressa 
agli scali; e la voce confusa della moltitudine si mesce ai canti delle 
mille donne affollate nei lavatoi, al suono dei corni e delle campanelle, 
allo strepito delle carrozze dei quais, al lamento del fiume e al 
mormorio degli alberi delle due rive, agitati da un'arietta vivace che fa 
sentire la freschezza della campagna e del mare. Anche la Senna lavora 
per «la gran festa della pace» e par che spieghi più benevolmente 
dell'usato, in mezzo alle due Parigi che la guardano, la sua maestà 
regale e materna. 
Qui il mio compagno non potè resistere alla tentazione di Nôtre Dame, 
e salimmo sulla cima d'una delle due torri per vedere «il mostro.» 
Ottima cosa che mette i pensieri in calma. Bisogna almeno dominarle, 
queste mostruose città, in quel solo modo che ci è possibile: collo 
sguardo. Salimmo sulla punta del tetto della torre di sinistra, dove 
Quasimodo delirava a cavallo alla campana, e ci afferrammo all'asta di 
ferro. Che immensità gloriosa! Parigi empie l'orizzonte e par che voglia 
coprire tutta la terra colle smisurate onde immobili e grigie dei suoi tetti 
e delle sue mura. Il cielo era inquieto. Le nuvole gettavano qua e là 
ombre fosche che coprivano spazi grandi come Roma; e in altre parti 
apparivano montagne, grandi vallate e vastissimi altipiani di case 
dorate dal sole. La Senna luccicava come una sciarpa d'argento da un 
capo all'altro di Parigi, rigata di nero dai suoi trenta ponti, che parevan 
fili tesi tra le due rive, e punteggiata appena dai suoi cento battelli, che 
parevano foglioline natanti. Sotto, la mole delicata e triste della 
cattedrale, le due isole, piazze nereggianti di formiche, lo scheletro del 
futuro Hôtel de ville, simile a una grande gabbia d'uccelli, e la réclame 
smisurata e insolente d'un mercante d'abiti fatti che sfondava gli occhi a 
mille e duecento metri di distanza. Qua e là, le grandi macchie dei 
cimiteri, dei giardini e dei parchi; isole verdi in quell'oceano. Lontano, 
all'orizzonte, a traverso a brume violacee leggerissime, contorni incerti 
di vasti sobborghi fumanti, dietro i quali non si vede più, ma s'indovina
ancora Parigi; da un'altra parte, altri sobborghi enormi, affollati sulle 
alture, come eserciti pronti a discendere, pieni di tristezze e di minaccie; 
a valle della Senna, in una chiarezza un po' velata, come in un vasto 
polverio luminoso, a tre miglia da noi, le architetture colossali e 
trasparenti del Campo di Marte. Che belli slanci vertiginosi dello 
sguardo da Belleville a Ivry, dal bosco di Boulogne a Pantin, da 
Courbevoie al bosco di Vincennes, saltando di cupola in cupola, di 
torre in torre, di colosso in colosso, di memoria in memoria, di secolo 
in secolo, accompagnati, come da una musica, dall'immenso respiro di 
Parigi! Povero e caro nido della mia famigliuola, dove sei? Poi il mio 
amico mi disse:--Ridiscendiamo nell'inferno--e tornammo a tuffarci 
nell'oscurità dell'interminabile scala a chiocciola, dove un rintocco 
inaspettato della grande campana di Luigi XIV ci fece tremare le vene e 
i polsi come un colpo di cannone. 
E ritornammo sui boulevards. Era l'ora del desinare. In quell'ora il 
movimento è tale da non poterne dare un'idea. Le carrozze passano a 
sei di fronte, a cinquanta di fila, a grandi gruppi, a masse fitte e serrate 
che si sparpagliano qua e là verso le vie laterali, e par che escano le une 
dalle altre, come razzi, levando un rumore    
    
		
	
	
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