Ma non c'è di libero nemmeno il cielo. Al di sopra del più alto tetto del 
quartiere, si disegna nell'azzurro, in sottili e altissimi caratteri di ferro, 
il nome d'un artista delle nuvole che vuol farvi la fotografia. Non c'è 
dunque altro che tener gli occhi inchiodati sul tavolino! No, nemmeno! 
Il tavolino è diviso in tanti quadretti colorati e stampati, che vi offrono 
delle tinture e delle pomate. Torcete il volto stizziti.... Ah disgraziati! 
La spalliera della seggiola vi raccomanda un guantaio. Non resta altro 
rifugio che guardarsi i piedi, dunque! No, non resta neppure questo 
rifugio. Sotto i vostri piedi, sull'asfalto, c'è un avviso a stampatello che 
vuol farvi mangiare alla casalinga in via della Chaussée d'Antin. 
Camminando un'ora, si legge, senza volerlo, un mezzo volume. È una 
inesauribile decorazione grafica variopinta ed enorme aiutata da 
immagini grottesche di diavoli e di fantocci alti come case, che 
v'assedia, vi opprime, vi fa maledire l'alfabeto. Quel Petit journal, per 
esempio, che copre mezza Parigi! Ma bisogna o ammazzarsi o
comprarlo. Tutto ciò che vi si mette in mano, dal biglietto del battello 
al contrassegno della seggiola su cui riposate le ossa nel giardino 
pubblico, tutto nasconde l'insidia della réclame. Persino le pareti dei 
tempietti, dove non s'entra che per forza, parlano, offrono, 
raccomandano. Ci sono in tutti gli angoli mille bocche che vi chiamano 
e mille mani che v'accennano. È una rete che avvolge tutta Parigi. E 
tutto è economico. Potete spendere fino all'ultimo centesimo credendo 
sempre di fare economia. Ma quanta varietà di oggetti e di spettacoli! 
Nello spazio di quindici passi vedete una corona di diamanti, un mazzo 
spropositato di camelie, un mucchio di tartarughe vive, un quadro a 
olio, una coppia di signorine automatiche che nuotano in una vaschetta 
di latta, un vestimento completo da contentare l'uomo «più 
scrupolosamente elegante» per otto lire e cinquanta centesimi, un 
numero del Journal des abrutis con un articolo a doppio taglio 
sull'esposizione delle vacche, un gabinetto per gli esperimenti del 
fonografo, e un bottegaio che dà il volo a un nuvolo di farfalle di penna 
per adescare i bimbi che passano. A ogni tratto vedete schierate tutte le 
faccie illustri della Francia. Non c'è città che in questo genere 
d'esposizione eguagli Parigi. L'Hugo, l'Augier, mademoiselle Judic, il 
Littré, il Coquelin, il Dufaure, il Daudet, sono in tutt'i buchi. Incontrate 
dei visi d'amici da tutte le parti. E nessuna impressione, neanche dei 
luoghi, è veramente nuova. Parigi non si vede mai per la prima volta; si 
rivede. Non ricorda nessuna città italiana; eppure non par straniera, 
tanto vi si ritrovano fitte le reminiscenze della nostra vita intellettuale. 
Un amico vi dice:--Ecco la casa del Sardou, ecco il palazzo del 
Gambetta, ecco le finestre del Dumas, ecco l'ufficio del Figaro--e a voi 
vien naturale di rispondere: Eh! lo sapevo.--Così riconoscendo mille 
cose e mille aspetti, continuiamo a girare, rapidamente, in mezzo a 
incrociamenti di legni da cui non vedo come usciremo, a traverso a 
folle serrate che ci arrestano all'improvviso, nelle ombre deliziose del 
Parco Monceaux, intorno alle grandi arcate leggiere delle Halles, 
davanti agli immensi «magazzini di novità» assiepati di carrozze, 
intravvedendo, di lontano, ora un fianco del teatro dell'Opera, ora il 
colonnato della Borsa, ora la tettoia enorme d'una Stazione, ora un 
palazzo incendiato dalla Comune, ora la cupola dorata degli Invalidi, e 
dicendoci l'un l'altro mille cose, e le stesse cose, e con la più viva 
espansione, senza pronunziare una parola e senza ricambiarci uno
sguardo. 
Avevo inteso dire che uno straniero a Parigi non si accorge quasi che ci 
sia l'Esposizione. Baie. Tutto conduce il pensiero all'Esposizione. Le 
torri del Trocadero si vedono effigiate da tutte le parti, come se mille 
migliaia di specchi le riflettessero, e l'immagine del Campo di Marte vi 
si presenta per mille vie e sotto mille forme. Tutta la popolazione 
sembra ed è infatti d'accordo per fare ben riescire la festa. V'è un 
raffinamento universale di cortesia. Tutti fanno la loro parte. Fin 
l'ultimo bottegaio sente la dignità dell'ospite; si legge in viso a ogni 
parigino la soddisfazione d'essere «azionista» del teatro in cui si offre 
al mondo il grande spettacolo, e la coscienza di essere un oggetto 
d'ammirazione. Il che serve moltissimo a rendersi davvero ammirabili. 
La grande città fa il bocchino, è premurosa, vuol contentar tutti. E 
infatti a tutti i bisogni, a tutti i desiderii, a tutti i capricci, ha provvisto, 
in mille modi, a ogni prezzo e a ogni passo. Per questa «festa del 
lavoro» c'è la febbre. Il lavoro, la pace, la grande fratellanza, la grande 
ospitalità fraterna, risuonano da ogni parte. E forse, anzi certo, vi si 
nasconde sotto un altro sentimento. È l'amor proprio ferito in un'altra 
gloria, che s'afferra tutto alla gloria presente, per compensarsi della 
passata; ed esalta con tutte le sue forze il primato    
    
		
	
	
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