Poesie inedite vol. I | Page 2

Silvio Pellico
Vangel mi venian
racconsolando;
Sempre la Croce occultamente amai.
Ed il maggior mio gaudio era allorquando
In una chiesa io stava, i dì
beati
Di mia credente infanzia rammentando:
Que' dì pieni di fede, in che insegnati
Dal caro mi venian labbro
materno
I portenti onde al ciel siamo appellati!
Di nuovo fean di me poscia governo
La incostanza, gli esempi, ed il
timore
Dell'altrui vile e tracotante scherno;
E l'ira tua mertai per tanto errore:
Ma gl'indelebili anni che passaro

Ritesser non m'è dato, o mio Signore!
Presentarti non posso altro riparo
Che duolo e preci e fè nel divo
sangue,
Di cui non fosti sulla terra avaro
Per chiunque a' tuoi piè pentito langue.
A DIO.
Et anima mea illi vivet.
(_Ps_ 21).
D'uopo ho d'amarti, e d'uopo ho che tu m'ami,
O tu che per amar mi

desti un cuore!
Son mal fermi quaggiù tutti i legami,
Tu sei solo
immutabile, o Signore!
S'amo creati cuor, fa ch'io rïami
In essi te
che mi comandi amore:
Se d'altri il braccio mi sostiene alquanto,

Sostenga essi con me tuo braccio santo.
Ov'anco intorno a me sien petti cari,
No, mai bastar non ponno al mio
conforto;
Spesso agitato da cordogli amari
Lo sguardo mio sui lor
sembianti io porto;
Ma del mio mal tosto li bramo ignari,
E
compongo a letizia il viso smorto,
E so che anch'essi per affetto
eguale
Celan sovente del dolor lo strale.
E più volte ho provato in petti umani
D'espandere l'arcana angoscia
mia,
E come a Giobbe i consiglier suoi vani,
In me quelli
accrescean melanconia;
E chi i gemiti miei diceva insani,
Chi
crollava la testa e non capìa,
Chi fingea compatir, mentre in secreto

Io lo scorgea de' miei tormenti lieto.
Sì ch'or per la pietà che agli uni io deggio,
Perchè tenera brama han
del mio bene,
Ora per non esportili al vil dileggio
Dell'alme
giubilanti alle mie pene,
Poco agli uomini parlo, e poco alleggio

Tra loro il duol che in me dominio tiene;
Ma sfogar pur sospiro i lutti
miei,
E tu, Signor, mio confidente sei!
Fa ch'io ti senta sempre a me vicino:
Troppo la solitudin m'addolora!

Posar vo' il cor sovra il tuo cor divino
Voglio dirti i miei sensi a
ciascun'ora!
Traggimi in qual pur sia fiero cammino,
Purchè teco io
respiri, e teco io mora:
Tutti i dolori a te d'accanto accetto,
Di
viverti discaro io sol rigetto.
Per aver l'amor tuo che far degg'io?
Pregar soltanto? Ah no, il pregar
non basta!
Debbo immagine in terra esser di Dio,
Debbo luttar
contro a natura guasta,
Debbo aver di giustizia alto desìo,
Debbo
non abborrir chi mi contrasta,
Debbo amar tutti, anco i più rei nemici,

Ed, ove il possa, oprar che sien felici.

Donami quell'amor, ma il dona insieme
A chi meco vïaggia sulla
terra:
Fra gl'inamanti cuori il cuor mio geme
E impicciolisce, e sua
virtù s'atterra;
Fra i malignanti cuori il cuor mio freme,
E orgoglio
oppone a orgoglio, e guerra a guerra
Fra gli odii altrui l'anima mia è
infeconda;
D'alti esempi d'amor, deh, la circonda!
Con te, Signor, con te stringo alleanza:
Perdonerò a' mortali, a me
perdona;
Amerò tutti, perchè han tua sembianza,
Perch'io son tua
fattura, amor mi dona;
Amerò tutti, ma con più esultanza
Chi fra le
braccia tue più s'abbandona;
Amerò tutti, ma con più fervore
Chi
più simile al tuo mi mostra il core!
Amar vogl'io, di quell'amor che avvampa
In te, e ne' tuoi più nobili
viventi,
Di quell'amor che da' rei lacci scampa,
Di quell'amor che
regge infra i tormenti,
Di quell'amor che all'universo è lampa
Nella
chiesa infallibil de' redenti,
Di quell'amor sì pio, sì ver, sì forte,
Che
abbella e vita, e gioie, e strazi, e morte!
DIO AMORE.
Domine, qui amas animas.
(_Sap_. 11,27.)
Amo, e sovra il cor mio palpitò il core
Del mio Diletto, ed era--ah! la
tremante
Lingua osa dirlo appena--era il Signore!
Il Signor che di gloria sfavillante
Regna ne' cieli, e sua delizia è pure

Il picciol uomo in questa valle errante!
Ed attonite il mirano le pure
Intelligenze scendere ammantato
A
questo erede di colpe e sciagure,
Ed il povero verme lacerato
Sanar colle sue mani, e a tutti i mondi

Ridir sua gioia, se da tale è amato.
Io lo vidi per baratri profondi
Movermi incontro, e gridar dolcemente:

«Perchè cotanto al mio desìo t'ascondi?»

E più e più appressavasi, e ridente
Più e più del suo viso era il fulgore,

E n'arsi ed arderonne eternamente.
Amo, e sovra il cor mio palpitò il core
Del mio Diletto, ed era--ah sì!
il proclamo
All'universo in faccia--era il Signore!
Io lo vidi, il conobbi, ei m'ama, io l'amo!
MARIA.
Fac ut ardeat cor meum.
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