riescita: 
Rowena era l'idolo della scuderia, e Miss Spring era l'idolo di Camilla. 
A dirla schietta, non ci voleva poi gran che per diventare l'idolo della 
Milla. Il suo cuoricino di bimba aveva un grande bisogno di voler bene. 
E in quella baraonda di casa, fra quell'andirivieni di gente, 
esclusivamente occupata di cavalli e dove l'elemento femminile non era 
rappresentato che dalle guardarobiere o dalle mogli dei fattori e dei 
palafrenieri, una donna che si occupasse della bambina, che le usasse 
certe cure, doveva, senza fallo, occupare un posto importante 
nell'animo suo. Milla poi aveva un benedetto carattere.... Si affezionava 
presto, con un grande ardore, che durava, nutrendosi del proprio 
elemento, esaltandosi, raffinandosi, facendosi sempre più scevro 
d'egoismo. Oh! come aveva amata quella zoticona della sua balia,
rimastale vicino sino a che ella avesse raggiunto il settimo anno! Che 
pianti, che disperazione quando dovette lasciarla! E ora, ecco, il suo 
amore era Miss Spring! 
Certo; Miss Spring era proprio una buona donna, e anch'essa s'era 
affezionata assai alla Milla.... Credeva in piena buona fede di far 
l'educazione di quella creatura.... darling Milla! Ma in realtà darling 
Milla si educava da sè sola, colla dolcezza infinita, soave del suo 
carattere, col suo ardente bisogno di voler bene. Non faceva immensi 
progressi nello studio, era molto timida, e non era punto furba; ma 
questo cosa importava?.... 
Il signor Principe aveva raccomandato di non seccarla troppo, povera 
piccina, con tutte le storie in ia...; non si curava affatto d'aver una 
bambina prodigio, e d'altronde era di parere che una donna ne sà 
sempre abbastanza. Ond'è che Milla passava sole poche ore del giorno 
nel salotto così detto di studio, e quando il tempo lo permetteva, lei e 
Miss Spring vivevano all'aria aperta, a passeggio o in giardino. Anche 
il medico aveva suggerito di far così; e realmente, nulla poteva tornar 
più giovevole alla salute della bambina. Miss Spring prediligeva 
l'ombra fitta e fresca degli ipocastani; a mezzo il viale, dal lato del 
giardino, il Principe aveva fatta fabbricare una specie di capanna rustica 
con dei banchi e qualche seggiola, e questo era il quartier generale della 
governante e dell'allieva. A destra, a capo al viale, la casa; a sinistra, in 
fondo al viale, il cancello sempre aperto; dietro il giardino; davanti, il 
muro basso, rossiccio, interminabile delle scuderie. 
Quanta gente ci viveva su quel lusso delle scuderie! L'allevamento era 
una fonte continua di prosperità e di guadagni per la popolazione di 
Astianello, e quasi tutte le braccia valide vi trovavano sicuro impiego. 
E come andavano superbi di appartenere alla tenuta del signor Principe! 
I cavallanti, poi, in ispecie formavano quasi una corporazione 
privilegiata, dove la successione si trasmetteva di padre in figlio. 
Avevano la riputazione d'essere esperti, arditissimi, anche un po' 
temerari, se si vuole. Li chiamavano i diavoli d'Astianello, ed essi erano 
lusingatissimi della loro denominazione e si sforzavano di farle onore, 
cavalcando sempre di carriera, portando il berretto in un modo speciale
e usando un certo linguaggio, pittoresco all'estremo, che strappava 
degl'innumeri shocking! dalle labbra smorte di Miss Spring. Ma i 
cavallanti, forse perchè non capivano il pudico valore di quella parola, 
non ristavano dall'infiorare i loro discorsi di quelle energiche locuzioni. 
Era un'abitudine, un vezzo come un altro; probabilmente essi eran 
persuasi che ciò contribuisse assai al chic della professione. I più 
giovani naturalmente esageravano questa pretesa; tra i ragazzi poi, i 
cavallantini in erba, era una cosa terribile. Bisognava sentir Drollino, 
per esempio! Era per l'appunto il ragazzo più taciturno della tenuta; ma 
le poche parole che diceva eran tutte moccoli.... proprio tutte! 
Che tipo curioso quel Drollino! Veramente si chiamava Pietro, ed era 
figlio d'uno dei più bravi cavallanti della tenuta. Le consuetudini del 
dialetto della provincia avevano alterato il suo nome, allungandolo: ne 
avevan fatto, Pedrolo. Senonchè, per distinguerlo dai molti altri Pedroli 
e dal padre stesso, che si chiamava pur egli così, il nostro Pedrolo 
diventò Pedrollino; poi, per abbreviare, si disse Drollino. Egli portava 
bene quel nome spiccio. Era un ragazzeto sui dieci anni, magrissimo, 
con una faccia fina, piccola, espressiva, abbronzata dal sole ardente dei 
pascoli. Sua madre era morta nel darlo alla luce, ed egli, che non amava 
la matrigna, non voleva saperne di stare in casa... era sempre a zonzo 
pei pascoli, col padre suo o solo. A scuola non ci voleva andare; veniva 
su alla libera, ignorante come un ciuco, di tutto ciò che non fosse 
cavalli. Con questi, si sa, pane e cacio; ed egli preferiva assai trovarsi in 
mezzo ai puledri che coi compagni suoi. Cavalcava già, con destrezza 
mirabile. Il male era che s'affezionava tenacemente agl'individui della 
razza, e, se accadeva la vendita di qualche pariglia o di qualche allievo 
del quale egli si fosse personalmente occupato, considerava quella 
misura quasi come un insulto personale, digrignava i denti, 
bestemmiando come    
    
		
	
	
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