feroci alla frontiera! 
Gloria a voi, treni-serpenti che approfittate dell'ombra
per 
impadronirvi di tutta la terra!
Invano, invano la luna vi accarezza, 
beffandovi
con le sue lunghe derisionì di luce!
Invano, invano la 
luna allunga il braccio lucente
del suo raggio più lascivo, per scoprire
la nudità dormente e sospirante dei fiumi!
Oh! luna triste, 
sonnolenta e passatista,
che vuoi mai ch'io mi faccia
di quelle 
meschine pozzanghere rimaste dal diluvio?!
Io ti cancello d'un tratto, 
accendendo
il mio bel riflettore dall'ampio raggio elettrico,
più 
nuovo, più bianco del tuo!...
S'abbandona il mio raggio sulle terrazze,
inonda i balconi in amore,
e fruga negli offerti lettucci delle 
vergini....
Il raggio vagabondo del mio gran riflettore
incendia di 
battaglia e d'eroismo
i mormoranti ruscelli delle loro vene dormenti....
Ma basta!... Ho di meglio da fare!...
Vento caparbio, lasciami! Giù 
le zampe!...
Ritorno al mare.... al mare!... 
Il mare e il suo gran popolo prigioniero
che urla tra mura di ferro!...
Vedo i fari, le sue sentinelle,
ritti e più terribili perché tacciono,
violenti e immensi nella tenebra immensa.
Alcuni spingono ovunque
sguardi di cacciatori affaccendati,
altri chinano sui flutti le loro aste 
d'oro,
pescatori dalle lenze luminose....
O fari, o poveri pescatori 
disillusi!
che mai volete da questo mare vuotato?
Alzate la testa, e 
guardate:
tutti i pesci d'oro grasso che cercate
guizzano lassù nel 
cielo!...
A me piace intanto volare cosi,
come una greve farfalla,
acciecando con gesti e con grida
la dolorosa pupilla di un faro 
pescatore,
senza bruciarmivi le ali!... 
Attenti ai ciottoli, voi, bastimenti assonnati
che rotolate pei colli e le 
valli del mare
sulle vivide zampe dei cento riflessi
delle vostre 
rosse troniere!
Pietà dei vostri fanali impalati sugli alberi,
pietà del 
loro sguardo
sofferente, estenuato, che sospira
verso l'acqua 
melmosa e cortese dei porti....
Pietà di voi, sballottati così
dal mare 
o dal vento che fa turbinare
sulle vostre vele piangenti
le vôlte 
agitate della sua bocca slabbrata! 
Ecco laggiù dei bastimenti in fuga....
Sembrano officine volanti, 
fumanti,
con le vetriere in fiamme, officine
subitamente sradicate 
intere
dalla forza violenta d'un ciclone...
Filano via sulla nerezza 
animata del mare.
E quella nave, là in fondo, sembra.... che sembra?
Ah! ecco! Un gran mulino per macinare le stelle!
Pompano il cielo 
i suoi alberi, e dalle rosse troniere
una farina siderale tutt'intorno si 
spande,
Ma io devo resistere ai colpi del vento contrario
che 
vorrebbe arrestarmi,
e rullo, e beccheggio, in equilibrio sull'ali,
maneggiando il volante e i due timoni.
Con un colpo di pompa 
costringo
il mio motore saziato
a far le fusa melodicamente....
E 
tu, mio buon carburatore, spalàncati
e gronda come una ferita d'eroe!
Ah! finalmente il mio cuore, il mio gran cuore futurista
ha vinto la 
sua aspra millenaria battaglia
contro le sbarre del torace!
M'è 
balzato fuori dal petto, il mio cuore,
ed è lui, ed è lui, che mi solleva e 
mi porta,
col suo turbine sanguinolento d'arterie,
elica spaventosa 
che gira vertiginosamente! 
Son fuso col mio monoplano,
sono il trapano enorme, ronzante,
che 
fora la scorza pietrificata della notte,
Più forte! Più forte!... In tondo, 
bisogna scavare 
0. profondamente, in questa fibra nera cementata dai secoli! Dovrò forse 
ancora per molto tempo sbattere le ali come un avoltoio
inchiodato sulla porta del cielo? Questo punto resiste? Cerchiamo 
più in alto! Infrangiamola triste vetrata dell'alba giallente!... Elica! 
Elica forte del mio cuore monoplano! Trivello formidabile, 
entusiasta e prepotente! Non senti scricchiolare le esecrabili 
tenebre sotto il tuo sforzo tagliente? Già la scorza nerastra si fa 
diafana.... Avanti! Più presto! Che rabbia! Resiste?... Su! ancòra 
un grande sforzo! Ancòra! Ancòra! Abbiamo vinto, ormai! Tutto 
sta per crollare! Urrà! Un grande sfacelo dì porpora empie lo 
spazio sull'arco illimitato dell'orizzonte, e il sole, enorme frutto 
succoso, balza subitamente con gioia radiosa fuori dal guscio 
molliccio dell'ombra!... 
Palermitani! Mi vedete venire?
Sono io! Sono io! Applauditemi! 
Sono dei vostri!
Sembra il mio monoplano
un gigantesco uomo 
bianco
ritto sul trampolino delle nuvole,
che aperte lo braccia, si 
chini
per tuffarsi repente nella vostra fremente
aurora siciliana! 
In quella rada violacea bagnata di silenzio
un villaggio dormente
si 
tira ancora sugli occhi dei suoi vetri vermigli
il serico morbido 
azzurro lenzuolo delle onde,
E quell'altro villaggio,
come un pezzo 
di ferro arroventato dal sole fuma e stride fra le cangianti tenaglie del 
mare. 
Urrà! Urrà! le giovani campane di Palermo
mi hanno già scôrto e 
allegramente si slanciano
sulle loro infantili altalene,
dondolandosi 
forte avanti o indietro
per ventilare le loro ronzanti gonne di bronzo
e le loro gambe frenetiche,
ebbre d'un desiderio sfrenato dì libertà,
Eccomi! Eccomi qua, campane di Palermo!
Per godere dei vostri 
lunghi slanci sonori,
io tolgo l'accensione e filo verso di voi,
come 
un lungo canotto bianco
che sollevi la sua doppia fila di remi
nel 
giungere alla mèta dì una regata, 
Tu m'appari da lungi, Palermo,
come un formidabile arsenale
difeso 
a destra e a sinistra dalle mura dei monti.
Quella tua lunga strada in 
pendìo che si tuffa nel mare
fa con la doppia linea delle sue bianche 
terrazze
un enorme cantiere,
su cui può scivolare la dreadnought
ideale
che sgombra l'orizzonte!
Giù nella strada profonda 
l'andirivieni febbrile
dei calefati, e su in alto il lacerarsi soave
delle 
brezze color di rosa! 
O Siciliani! O voi, che fin dai tempi brumosi
notte e giorno lottate a 
corpo a corpo
coll'ira dei vulcani,
amo le vostro animo che 
fiammeggiano
come folli propaggini del fuoco centrale! 
Voi mi somigliate, Saraceni d'Italia
dal naso possente e ricurvo sulla 
preda    
    
		
	
	
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