penisola Esperia. Anche le 
posizioni dei punti principali determinate da Maedler (1830), da Kaiser (1862) e da me 
(1877-1879) si accordano fra loro in modo da escludere affatto l'idea di Schroeter, che le 
macchie di Marte siano nuvole o formazioni atmosferiche transitorie, come certamente 
sono quelle di Giove e di Saturno. 
Marte ha dunque una topografia stabile, come la Terra e la Luna, e per quanto si può 
sapere, anche Mercurio. Tale stabilità si ravvisa tuttavia per Marte soltanto nelle forme 
generali, e non si estende agli ultimi particolari. Osservazioni continuate han posto fuor 
d'ogni dubbio negli ultimi tempi che molte regioni mutano di colore fra certi limiti, 
secondo la stagione che domina su quei luoghi, e secondo l'inclinazione, con cui sono 
percossi dai raggi solari. Tali mutazioni di colori hanno certamente luogo anche per molte 
parti della Terra, e sarebbero visibili ad uno spettatore collocato in Marte. Ma si osserva 
in questo una cosa, che certamente sulla Terra non ha luogo: i contorni delle grandi 
macchie possono subire cioè leggiere mutazioni, piccole rispetto alle dimensioni delle 
macchie stesse, ma pur tuttavia abbastanza grandi per rendersi cospicue anche a noi.
Anche questi contorni non sono sempre ugualmente ben definiti. Molte minutissime 
particolarità si vedono meglio in certe epoche, e meno bene in certe altre; e possono da 
un tempo all'altro anche variar d'aspetto e di forma, senza che tuttavia si possa concepire 
alcun dubbio sulla loro identità. E finalmente è da notare, che Marte ha un'atmosfera 
abbastanza densa, ed una propria meteorologia, come sarà spiegato più innanzi. Tutte 
queste variazioni annunziano un sistema grandioso di processi naturali, che conferisce 
allo studio di Marte un interesse molto più grande di quello che deriverebbe dal semplice 
studio topografico di una superficie immutabile ed inerte, come sembra esser quella della 
Luna. Insomma il pianeta non è un deserto di arido sasso; esso vive, e la sua vita si 
manifesta alla superficie con un insieme molto complicato di fenomeni, ed una parte di 
questi fenomeni si sviluppa su scala abbastanza grande per riuscire osservabile agli 
abitatori della Terra. Vi è in Marte un mondo intiero di cose nuove da studiare, 
eminentemente proprie a destare la curiosità degli osservatori e dei filosofi, le quali 
daranno da lavorare a molti telescopi per molti anni, e saranno un grande impulso al 
perfezionamento dell'Ottica. Tale è la varietà e la complicazione dei fenomeni, che 
soltanto uno studio completo e paziente potrà rischiarare le leggi secondo cui quelli si 
producono, e condurre a conclusioni sicure e definite sulla costituzione fisica di un 
mondo tanto analogo al nostro sotto certi rispetti, e pur sotto altri tanto diverso. 
Non si creda tuttavia di poter accedere a questo studio così attraente senza aiuto ottico 
proporzionato alla difficoltà della cosa. La sempre grande distanza del pianeta, e la 
piccolezza relativa[6] del medesimo non permettono di usare con molto frutto 
amplificazioni inferiori a 200 e 300, nè telescopi di lente obbiettiva inferiore in diametro 
a 20 centimetri: questo nellegrandi opposizioni, come quelle del 1877 e del 1892. Ma 
nelle opposizioni meno favorevoli (ed in quelle appunto suole Marte dispiegare i suoi 
fenomeni più curiosi) lo studio dei più delicati particolari non si può far bene con 
amplificazioni minori di 500 e 600 diametri, quali si possono avere soltanto da telescopi 
dell'apertura di 40 centimetri o più. 
Le due carte annesse sono state fatte appunto con istrumenti della forza che ho detto. 
L'emisfero australe, il quale a causa dell'inclinato asse di Marte suole presentarsi meglio 
alla nostra vista nelle grandi opposizioni, che nelle altre, è stato rilevato principalmente 
negli anni 1877-1879, con un telescopio di 22 centimetri d'apertura. Ma per l'emisfero 
boreale, che si presenta in prospettiva conveniente soltanto nelle opposizioni meno 
favorevoli, si è potuto negli anni 1888 e 1890 approfittare di un istrumento molto più 
grande, il cui vetro obbiettivo ha 49 centimetri di diametro, e permette di spingere 
l'amplificazione di Marte fino a 500 e 650. 
[vedi figura 02.png] 
Non senza qualche interesse vedrà il lettore rappresentato nell'annessa pagina 
quest'ultimo istrumento, il più potente che sia uscito delle officine di Germania. La sua 
collocazione a Brera fu decretata dal Re e dal Parlamento nel 1878; ogni volta che lo 
consideriamo esso richiama a noi la memoria di quell'uomo non facilmente dimenticabile, 
che fu Quintino Sella, ai cui uffici la Specola di Milano deve questo suo principale 
ornamento. La lente obbiettiva, lavorata in Monaco da Merz successore di Fraunhofer, ha 
49 centimetri di diametro nella parte libera; la macchina che porta il telescopio e permette
di dirigere con tutta facilità in cinque minuti la gran mole verso qualunque plaga del cielo, 
è un vero prodigio della meccanica moderna e fu lavorata in Amburgo dai fratelli 
Repsold. La sua parte mobile (che son parecchie tonnellate di metallo) può essere mossa 
dalla pressione di un dito ed    
    
		
	
	
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