146 volte la distanza 
della Luna. Mentre adunque in questa un telescopio di mediocre potenza è capace di 
rilevare montagne, valli, circhi e crateri senza numero ed un'infinità di altri particolari 
topografici[3], ben altro potere ottico sarà necessario, perchè si possano vedere 
distintamente in Marte anche soltanto le configurazioni delle macchie principali. 
L'esperienza ha fatto vedere che non è difficile di rilevar nella Luna, col soccorso dei 
maggiori telescopi, un oggetto rotondeggiante di mezzo chilometro di diametro, o una 
striscia di 200 metri di larghezza. In Marte si può arrivare a distinguere come punto un 
oggetto rotondeggiante di 60 a 70 chilometri di diametro, e come linea sottile una striscia 
di 30 chilometri di larghezza. Il corso di un fiume come il Po sarebbe facile a distinguersi 
nella Luna su quasi tutta la sua lunghezza, ma nessuno dei maggiori fiumi della Terra 
riuscirebbe a noi visibile in Marte. E mentre nella Luna una città come Milano (od anche 
soltanto Pavia) sarebbe già un oggetto ben vidibile a noi, in Marte non potremmo sperare 
di vedere neppure Parigi e Londra, ed appena con molta attenzione sarebbe possibile 
distinguervi isole rotondeggianti della grandezza di Majorca, od isole allungate, grandi 
come Candia e Cipro. 
Non farà dunque meraviglia, che Galileo, i cui telescopi non superarono mai 
l'amplificazione di 30 diametri, non abbia potuto fare in Marte alcuna scoperta. Primo ad 
osservare con qualche sicurezza le macchie di questo pianeta fu il celebre Ugenio, che le 
vide coll'aiuto di telescopi lavorati da lui stesso, assai più perfetti e più grandi di quelli di 
Galileo (1656-1659). Pochi anni dopo, Domenico Cassini a Bologna (1666) non solo 
riconobbe diverse macchie, ma dal loro rapido spostarsi sul disco fu condotto a scoprire 
la rotazione del pianeta intorno ad un asse obliquo, a similitudine della Terra: dalla qual 
rotazione definì la durata in 24 ore e 40 minuti. I telescopi usati da Cassini erano lavorati 
in Roma dal più celebre artefice ottico di quei tempi, Giuseppe Campani, i cui lavori 
godettero di un incontrastabile primato per quasi cent'anni, fino a che per opera di Short, 
di Dollond e di Herschel tale vanto passò per qualche tempo all'Inghilterra. E con 
telescopi di Campani fece Bianchini in Verona nel 1719 i primi disegni alquanto accurati 
delle macchie di Marte, scoprendo in esse particolari abbastanza difficili, quale per 
esempio la sottile penisola che nella carta annessa porta il nome di Hesperia. Verso la 
fine del secolo scorso Herschel e Schroeter dallo studio delle candide macchie polari del 
pianeta dedussero l'obliquità del suo asse di rotazione rispetto al piano dell'orbita, 
quell'angolo, cioè, che per la Terra costituisce l'obliquità dell'eclittica, ed è poco diverso 
nell'uno e nell'altro pianeta. Così fu determinato anche per i due emisferi di Marte il corso 
periodico delle stagioni, e la legge delle variazioni dei climi, che tanta analogia mostrano
con le nostre. 
Tutte queste osservazioni però non erano sufficienti a dare una descrizione completa della 
superficie di Marte. Come vero fondatore dell'Areografia[4] dobbiamo considerare il 
tedesco Maedler, il quale nel 1830, valendosi di un perfettissimo telescopio di Fraunhofer 
(celebre ottico di Monaco, per cui opera il primato nella costruzione dei telescopi passò 
verso il 1820 alla Germania), vide e descrisse le macchie del pianeta incomparabilmente 
meglio che tutti gli astronomi anteriori. Maedler fu il primo a determinare con misure 
bene ordinate la posizione di un certo numero di punti principali sulla superficie di Marte 
rispetto all'equatore e ad un primo meridiano, che è quello notato zero sull'annessa carta. 
[vedi figura tavola01.jpg] 
[vedi figura tavola02.jpg] 
Ordinando rispetto a questi punti le diverse particolarità topografiche riuscì a costruire la 
prima carta areografica: la quale, comechè ancora incompleta e necessariamente limitata 
a poche macchie principali, è tuttavia monumento onorevole della sua cura e diligenza, e 
rappresenta per la descrizione di Marte quello che 2000 anni fa la carta di Eratostene fu 
per la geografia terrestre. Questa carta per più di 30 anni fu non soltanto la migliore, ma 
anzi l'unica; e soltanto verso il 1860 si cominciò a fare nello studio del pianeta qualche 
progresso ulteriore, specialmente per le osservazioni di Secchi, Dawes, Kaiser, e Lockyer. 
Da quell'epoca e specialmente a partire dalla grande opposizione del 1862 quei progressi 
si vennero accelerando, ed a ciò contribuirono non poco i grandissimi telescopi, che negli 
ultimi tempi gli ottici, specialmente quelli d'America, hanno imparato a costruire[5]. 
Dalla comparazione di tutte le nuove ed antiche osservazioni risultò come primo fatto 
importante, che la forma e disposizione delle macchie del pianeta è invariabile nei suoi 
tratti principali, com'è sulla Terra la distribuzione dei mari e della parte asciutta. Noi 
possiamo, per esempio, riconoscere nei disegni di Ugenio (1659) il golfo appellato Gran 
Sirte(vedi l'annessa carta); nei disegni di Maraldi (1704) il Mare Cimmerioe il Mare delle 
Sirene; nei disegni di Bianchini (1719) il Mare Tirrenoe la    
    
		
	
	
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