di marito e di padre Ei si vietava; contemplare insomma 
quello affannarsi indefesso a mescere intera la sua grande anima 
nell'anima del Popolo, onde ei se ne avvantaggiasse. E se ne 
avvantaggerà, però che il Popolo abbia viscere di gratitudine, e se mai 
avvenga che traviato o corrotto da consigli pessimi prorompa in offese 
a danno dei suoi benefattori, presto si pente, e piange, e adora mutate in 
oggetto di culto le vittime del suo furore:--altri non si pente mai, nè 
piange. 
La morte, che immatura colpì quel caro capo, se non prodotta, fu per lo 
meno assai accelerata dalla sventura sopraggiuntagli per cagione mia, e 
fu questa. Apprendendo quel gentile con inestimabile fastidio, come gli 
Accusatori miei si fossero prevalsi a danno mio di certe sue lettere a me 
dirette nella festosa giocondità del suo spirito, non mise tempo fra 
mezzo a scendere giù dal Castello della Cavinana dov'erasi ridotto a 
circondarsi di ombre e di memorie, per cercare fra le sue carte le lettere 
che io con gravità di consiglio gli era venuto rispondendo, e quante 
gliene capitarono a mano tante me ne mandò: compito l'ufficio, nel 
tornarsene alla stanza del Castello infelice, i cavalli aombrando su di 
una erta diruparono con la carrozza a precipizio dentro un burrone: 
comecchè Ei restasse semivivo sul colpo, pure si rilevò, porgendogli 
anche cotesto infortunio argomento per manifestare lo amore suo verso
il Popolo, il quale con ogni maniera di pietoso aiuto lo sovvenne; ma da 
quel giorno in poi Egli non ebbe più bene, e conobbe soprastargli il fato 
supremo, nè punto gliene dolse, anzi desiderò essere morto quattro anni 
avanti.... E adesso siamo pochi, chi per un verso, chi per un altro, che 
come Lui non desideriamo; e dei superstiti, beati quelli cui verrà 
concesso morire senza rimorso, e senza vergogna.... 
L'antivigilia della sua morte, rinvenuto da lungo svenimento, quel 
gentile spirito ricordò di me, e commise al Medico, che in nome di Lui 
mi scrivesse, e mi offerisse quelle consolazioni le quali tornano grate 
sempre, da chiunque si muovano; se poi da amico, gratissime. Ricevuta 
appena la lettera, non mi trattenni un momento per rispondere come la 
stupenda cortesia dell'atto persuadeva... e non pertanto, ahimè! egli era 
tardi, imperciocchè io scrivessi ad un cadavere.... 
A Giovambatista Niccolini io dedicai il volume degli Scritti varii, e nel 
dedicarglielo lo salutai la migliore coscienza d'Italia; e tale fu, e tale si 
rimase, e si manterrà certamente, avvegnadio se da un lato quotidiani 
esempii c'insegnino come uom non possa celebrarsi incontaminato 
prima dei suoi funerali, dall'altro piaccia e giovi credere quanto 
sentenziò Sofocle nel Filottete,--che i cuori grandi non può fare a meno, 
che non sieno anche buoni;--e di vero, se lo inclito concittadino nostro 
sia più grande o più buono tu pendi incerto, comecchè grandissimo e 
buonissimo il mondo lo veneri meritamente. Cotesto suo intelletto 
pacato, senza ira come senza sdegno, dalla sapienza dei tempi ricavò la 
dottrina che tenace professa, onde non è da dirsi quanto rimanesse 
sbigottito sì, non iscosso, dal fragore di eventi che parvero prima, e poi 
sperimentammo mostruosi: molti ancora dei suoi amici vecchi a Lui 
oggimai declinante nella bene adoperata vita andavano susurrando 
dentro le orecchie: «Tu hai sbagliato....» Allora l'austero vecchio tacque 
crollando il capo, e tenne per fermo, e tenne bene, che co' morti di 
Santa Croce non si sbaglia, e lasciò dire i vivi. 
Amareggiato nella mente quando i casi parevano dargli torto, Egli si 
sentì ferito nel cuore allorchè tornarono a dargli ragione; però non pose 
giù sul pavimento l'animo invitto, e, richiamate le ispirazioni antiche, 
diè opera a tale impresa (se la fama porge il vero) che gli uomini
vedranno maravigliando, conciossiachè vivano, ma rari, intelletti nel 
mondo, che non conoscono tramonto; e Niccolini è tra questi. 
Non senza supremo consiglio la Provvidenza ordinò, che in questi 
luoghi vivesse Vittorio Alfieri, ed ora viva Giovambatista Niccolini, 
ponendo in certa guisa più gagliardi i puntelli là dove è minacciata la 
mina maggiore; e se costoro non erano, chi sa fin dove il Popolo nostro 
si sarebbe sprofondato nell'abiezione, che il tempo vile appella civiltà! 
Dura pertanto questa Dedica, e la ragione della Dedica; e con essa dura 
il rammarico di avere presentato così povera offerta al genio tutelare 
della dignità toscana. 
Ad Angelica Bartolomei nata Palli intitolai la Battaglia di Benevento. 
Nacque Ella in Livorno di greca stirpe, e giovanissima ancora, tanto le 
vennero a grado le greche e le italiane lettere, che potè leggere 
l'originale greco di Omero in quella età in cui, troppo più che non 
vorremmo, fanciulle italiane appena appena sanno compitare un libro 
nel paterno idioma. Di forti sensi dotata, la giovanetta fu udita 
improvvisare tragedie, di cui talune vanno attorno stampate, onde per 
giudicio universale Lei reputarono piuttosto maravigliosa, che rara. 
Posato alquanto quel ribollimento dello spirito,    
    
		
	
	
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