La battaglia di Benevento, by 
 
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Title: La battaglia di Benevento Storia del secolo XIII 
Author: Francesco Domenico Guerrazzi 
Release Date: August 10, 2006 [EBook #19024] 
Language: Italian 
Character set encoding: ISO-8859-1 
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BATTAGLIA DI BENEVENTO *** 
 
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LA 
BATTAGLIA DI BENEVENTO 
Storia del secolo XIII
SCRITTA 
DA F.-D. GUERRAZZI. 
Edizione nuovamente rivista e corretta dall'Autore 
....... Io son Manfredi Nepote di Gostanza imperatrice 
DANTE 
 
FIRENZE 
FELICE LE MONNIER 
1852 
L'Editore intende valersi dei diritti accordati dalle Leggi sulla Proprietà 
letteraria. 
 
Non avrei tanto tardato a dar luogo nella Biblioteca nazionale a questa 
opera di F.-D. Guerrazzi, s'egli avesse avuto prima d'oggi facoltà di 
cedermene il diritto. L'indugio però fu largamente compensato dalle 
cure poste ora dall'Autore intorno a questa Opera della sua giovinezza, 
che nell'angustie del carcere (com'egli stesso dicevami) rilesse con 
inesprimibile amore, volgendo omai il trentanovesimo mese della sua 
prigionia. 
F. LE MONNIER. 
Giugno 1852. 
 
AL BENEVOLO LETTORE. 
Quando Omobuono Martini milanese riprodusse co' suoi tipi la 
Battaglia di Benevento, a me piacque preporle un Discorso intorno alle
ragioni della Letteratura moderna in Italia, e il Libro e il Discorso 
dedicai alla egregia donna Signora Angelica Bartolomei nata Palli. 
Comparendo adesso questa opera nuovamente alla luce per le stampe di 
Felice Le Monnier senza Discorso e senza Dedica, parmi cosa dicevole 
manifestarne la causa, onde uom non creda, che per sopraggiunto 
pentimento io gli abbia voluti omettere. Per certo, come la fama della 
illustre donna per la mia Dedica non aumentò, così nemmeno, per 
sopprimerla ch'io mi facessi, punto diminuirebbe: tuttavolta, tôrre 
quello che una volta si diè, e sia pure povera cosa, non sembra onesto; 
ed a me poi recherebbe gravezza grandissima, ove altri pensasse 
alterata verso Lei la mente, che un dì mi persuase a renderle, giusta le 
forze mie, quel tributo di onore. Anzi, poichè per questa guisa mi viene 
schiusa la via di favellare delle Dediche preposte alle altre opere mie, 
mi par bene valermi del destro per tenere proposito di tutte con 
brevissime parole. 
A Niccolò Puccini io dedicava la Veronica Cybo in pegno di antica 
amicizia, ed ebbi sempre in pensiero intitolare al suo nome opera di 
maggiore momento, ch'Egli lo meritava pur troppo; ma mi mancò il 
tempo, e forse me ne sarebbe mancato anche lo ingegno. Di questo mio 
difetto mi consola ampiamente conoscere come Egli abbia saputo, 
troppo meglio che non saprebbero fare opere d'inchiostro, 
raccomandare la propria fama ai posteri, dando, se non unico, radissimo 
esempio del modo col quale hassi ad amare il Popolo di vero amore: 
avvegnadiochè di due cose abbisogni principalmente il Popolo, di 
esempii buoni, e d'insegnamento, che di parole ormai che cosa farsi non 
sa, tante ne furono sprecate, quasi tutte invano; talune poi, peggio che 
invano. Di questa verità udii sovente porgere testimonianza allo stesso 
Puccini, il quale con quel suo vispo linguaggio soleva dire, che i fatti 
erano maschi, e le parole femmine. Intitolando a lui il mio Libro, io 
volli pertanto rendere omaggio al savio cultore della carità verso il 
prossimo, ed allo amatore della Patria zelantissimo; onde fra le 
amarezze, di cui non è penuria nel turpe carcere, acerba mi percosse 
quella di non potere, come avrei voluto, dettare del morto amico 
sincerissima qual Ei non temeva, e quale a me non sarebbe riuscito 
concepire diversa, la Orazione funeraria. Ma poichè farlo liberamente 
mi era conteso, mi parve degno tacere; e così, ne vado persuaso,
sembrerà anche allo spirito di Lui, se pure lo toccano le miserie alle 
quali noi siamo, infelicissimi, rimasti. 
E tanto più duolmene, in quanto che a veruno poteva per avventura 
riuscire quanto a me di palesare al mondo il cuore ch'Egli ebbe, e certo 
poi a nessuno più che a me ne correva obbligo religiosissimo. Talora 
vagando insieme con Lui pei silenzi della notte nelle sue sale solitarie, 
a parte a parte mi apriva gli affanni che contristarono la sua infanzia, e 
le angoscie pungenti che gli derivarono dalla infermità miserabile di cui 
pure la Natura non lo aveva percosso.... e spettacolo veramente 
portentoso era e lacrimevole a un punto contemplare come tanta copia 
di amaritudine non fosse bastata a corrompere le acque dolcissime della 
sua esistenza, nè il rigido alito della tristezza a spegnere la sua fede;--le 
lotte, le cadute, il rilevarsi più gagliardo, e il proponimento osservato 
fino al termine della vita di adottare per figliuolo il Popolo intero, 
dacchè le gioie    
    
		
	
	
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