La Marfisa bizzarra | Page 3

Carlo Gozzi

_Marfisa bizzarra_, da qui a due secoli, se 'l libro fosse fortunato a
segno d'aver tanto di vita, si troveranno de' veri disegni d'uomini
viventi in allora. Non so s'io mi debba dire «spero» o «temo» che la
premessa mia giustificazione sia
inutile. Nessuno si vedrá figurato
negli oggetti difettosi posti nella _Marfisa_, e piuttosto si rileverá ne'
virtuosi. La lettura e le osservazioni mi faranno titubare e quasi credere
che gli uomini morti sieno stati simili ai viventi, e che con tutte le satire,
le derisioni al vizio e i ricordi buoni, gli uomini che nasceranno
abbiano da non esser differenti dagli uomini morti e dagli uomini che
oggidí vivono con noi. Il difetto, riguardo ai principi dell'educazione, è
benissimo conosciuto da' popoli, ma la considerazione che abbiamo di
noi medesimi lo fa sempre scorgere facilmente dall'uomo nell'altro
uomo e difficilmente in se stesso. Solo perché in ogni secolo si è
procurato di scemare i difetti nelle genti, certi scrittori ebbero

dell'applauso: vi sará in ogni secolo chi tenterá di acquistarsi qualche
nome per questa via. Se poi si giunga per questa via a cagionare alcuna
riforma nei viziosi costumi, io mi contenterò di rimanere in dubbio per

non tralasciare di farlo. Il governo di Londra ha sperato in ciò del
benefizio sopra a' suoi popoli, e perciò lasciò correre _Lo spettatore_.
Due poemetti usciti alla stampa da poco tempo in verso sciolto, l'uno
intitolato _Il mattino_, l'altro _Il mezzogiorno_, che mi lasciano con
ingordigia desiderare _La sera_, risvegliarono in me la brama di dar
fine all'imprigionata _Marfisa bizzarra_. Una felice, elegante, maestosa,
diligente e notomizzata esposizione, molti riflessi, molta satira e molta
filosofia formano que' due libretti, veramente degni di andar separati
dalle immense lordure ch'escono alla stampa in questo secolo detto
«illuminato». Il sublime del loro stile, sopra una base faceta, sostiene
ingegnosamente una continua ironia, che gli fa seri e scherzevoli a un
tratto e col piú fino sapore. Non anderanno soggetti mai alla sventura

dell'oblivione, quantunque appunto pel loro sostenuto sublime riescano
oscuretti appresso quella vergognosa ignoranza, dall'autore con somma
ragione sferzata in parecchi grandi. Tuttoché que' due poemetti sieno
scritti in uno stile totalmente diverso da quello della _Marfisa_, sono
però appoggiati alle viste medesime e a' medesimi principi di questa.
L'ho terminata con due canti, seguendo il filo degli altri dieci e
quell'ossatura da sett'anni apparecchiata, fatto coraggioso dal felice
accoglimento dato dal pubblico alla benemerita sferza del _Mattino_ e
del _Mezzogiorno_. Sappiasi ch'io mi vanto solo d'essere confratello
nelle massime dello scrittore di que' due poemetti venerabili, ma
sappiasi ancora ch'io mi confesso architetto infelice d'una fabbrica
umile e di simmetria diversa affatto da quella del suo nobilissimo
edifizio. Non incresce all'umanitá di passar talora da un adornato
palagio ad una semplice casipola villereccia, in traccia di quella varietá
che suol cagionare il divertimento. La _Marfisa_ è un poema giocoso e
d'uno stile scopertamente famigliare. Molti fattarelli cavati dal mio
Turpino, che la riempiono, servono di pretesti a porre in circostanza le
dame, i cavalieri, l'arme e gli amori; e dalla circostanza pullula quella
satira sul costume, alla quale chiedo la benedizione dal cielo. Alle due
consuete sciagure degli altri libri anderá sottoposta la _Marfisa_. Se
una è quella di non essere né letta né badata, l'altra è quella della critica.
Mi rincrescerebbe alquanto piú la prima della seconda, ma né l'una né
l'altra potrá vantarsi d'aver turbata la mia pace. Per entro al poema
credo d'aver assai espressa la mia ostinazione di voler usare i colori
dello stile de' nostri antichi piacevoli, a me amicissimi e carissimi.

Quante bellezze, d'indole però diversa, non adornano _Il mattino_ e _Il
mezzogiorno_, per aver il loro scrittore bevuto alla fonte degli antichi
poeti! Se i miei critici vorranno tentare di darmi alcun dispiacere, gli
avverto fraternamente di censurar la Marfisa in tutte le sue parti, ma
non mai in quella degli anacronismi de' quali è sparsa, perché mi
faranno piú ridere che arrabbiare e non averanno il loro intento. Ho
voluto che i miei paladini bevano il caffè, il cioccolato e mandino de'
libretti alla stampa al tempo di Carlo Magno. Ho voluto che possano
raccomandarsi a' santi e nominare de' santi che dovevano ancora
nascere, che possano spendere delle monete di conio posteriore all'etá
loro, che possano leggere Rutilio Benincasa, l'_Ottimismo_, il _Lunario
da Bassano_, eccetera eccetera. Dicendo «ho cosí voluto», spero di
levare la noia agli eruditi critici di raccogliere una filza di simili
anacronismi de' quali desiderai di valermi, non curandomi d'avere il
torto a prender de' granchi volontariamente. Nella _Marfisa_ non si
tratta né del commercio né dell'arti né dell'agricoltura. Dovrá dunque
cadere per questa sola ragione tra i libri disutilacci e da non esser punto
considerati? Io rispetto i benemeriti scrittori, che co' loro ponderati, seri
e zelanti insegnamenti hanno giá in questo secolo
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