La Marfisa bizzarra | Page 2

Carlo Gozzi
bene,
inveiscono contro il male, deridono i pregiudizi, ridono e fanno ridere
de' difetti dell'umanitá. Una certa libertá di pensare, un disprezzo de'
riguardi, un amore ardito per la veritá gli fa scrittori.
Chi dedica, aspira a qualche benefizio. Io bramo dall'Eccellenza Vostra
quel solo benefizio d'essere considerato nel numero del secondo genere
de' satirici.
Il mondo difficilmente fa una tale separazione. Nimicizia, ignoranza,
dispetto, sospetto mette i detrattori e gli urbani satirici in un solo conto.
Vostra Eccellenza non è nimica, non è ignorante, non è dispettosa, non
è sospettosa, e sa essere benefattrice volontaria anche di coloro che non
le chiedono favori. Affido alle sue mani la _Marfisa bizzarra_, non
meno che la bilancia del mio carattere; e la supplico a voler consentire
ch'io possa vantarmi suo servitore e suo satirico.
PREFAZIONE
SCRITTA TRA 'L DUBBIO CHE SIA NECESSARIA
E 'L
DUBBIO CHE SIA INCONCLUDENTE
Rispettando chi molto ragiona e poco osserva, io poco ragionando e
molto osservando ho ingravidata la mente, la quale, senza incomodare
la lingua, ha dato poi tutta la briga, quando a una mia penna di pollo
d'India, quando a una mia penna d'oca, di discorrere sopra i fogli che

succederanno a questo preambolo. Cotesti fogli formano un libro sulla
fronte di cui si vederá scritto: _La Marfisa bizzarra, poema faceto_. È
superflua una confessione che i fatti esposti in dodici canti della
_Marfisa_ non siano di gran rimarco. Ciò non è mia colpa. Se nella
vecchiaia del mio Turpino i paladini non avessero cambiati gli antichi
costumi, che teneano del mirabile, gli accidenti della _Marfisa_
sarebbero piú maravigliosi. Destò in me la spezie di gravissimo caso il
cambiamento nel pensare e nell'operare di quegli eroi tanto celebrati dal
Boiardo e dall'Ariosto; e se verrá considerata la differenza nel vero
punto di vista, i successi di questo burlesco poema non appariranno
frivoli affatto. I caratteri, le pitture, i ragionamenti, i maneggi, gli amori,
in tal metamorfosi mirabile quanto tutte quelle d'Ovidio, non mi
parvero immeritevoli della fama; e certo il maggior scapito loro
deriverá dal mio infelicissimo ingegno, non atto a fargli immortali.
Dieci canti di questo libro furono da me scritti sette anni or saranno,
vale a dire l'anno 1761. Siccom'egli è veramente satirico e ripieno di
ritratti naturali al possibile, alcuni, che vollero a forza udirne dei pezzi,
incominciarono a voler fare gli astrologhi, immaginando di scoprire in
essi il tale e la tale dipinti particolarmente al vivo. Si sa quanta forza
abbia la presunzione dell'infallibilitá negli uomini, e quanto diligenti
sieno i nimici ad assecondare un'opinione che può riuscire in odiositá a
una libera penna. I disseminati discorsi de' falsi indovini mi parsero
perniziosi e indiscreti. La mia vena innocente, che cercava solo di
spassarsi nel partorir le immagini delle quali si era impregnata sulla
lettura del suo Turpino e in una taciturna e universalissima
osservazione sugli uomini, ebbe alquanta
stizza. Troncai 'l corso
all'opera e la chiusi a sette chiavi, sdegnando che dall'amore che ho per
il prossimo me ne venisse dell'odio, e che fosse cambiato in veleno un
elisire ch'io, forse accecato da troppo orgoglio, giudicava non disutile
alla societá.
Nel tempo in cui scrissi gli accennati primi dieci canti, bolliva una
controversia un po' troppo arditamente giocosa intorno alla maniera di
ben iscrivere e al buon gusto poetico del comporre. Paleserò, s'è
necessario, che Marco e Matteo dal piano di San Michele--due paladini
che si vedono dipinti nel poema--rappresentano due scrittori, che in
quella stagione s'erano dichiarati, coll'alleanza d'alcuni altri scrittorelli,

con soverchia animositá contro a' buoni scrittori antichi e contra chi
difendeva l'invulnerabile fama di quelli. Coteste due creature, dipinte
precisamente, hanno data la spinta a far giudicare con sciocchezza e
falsitá di tutte l'altre persone che campeggiano nel poema. Vorrei ben
oggi poter troncare, senza rompere alcune necessarie connessioni
all'opera e senza che potessero uscire quelle brutte parole «il libro è
castrato», tutto ciò che attiene a' que' due paladini, ch'io tengo per amici
ad onta delle loro collere; prima perché non è mio costume il prendere
di mira persone in particolare, e poscia perché riescono scipite e tediose
tutte le scritture di critica e di derisione fuori della circostanza in cui un
pubblico è in quella interessato. Il tempo solo decide del merito di ciò
che si scrive, e non avendo io nessun merito per sperare dal tempo
immortalitá, sieno certi i due paladini Marco e Matteo, e gli alleati,
della loro vendetta. Quanto agli altri oggetti fatti sospettosi
dagl'indovini e dalla malizia, se useranno l'indulgenza di non credermi
capace di prender dirittamente per bersaglio nessuno che non mi punga,
per satireggiarlo, mi faranno giustizia. Potranno questi riflettere che,
siccome ne' _Caratteri_ di Teofrasto, nelle _Satire_ di Orazio, di
Giuvenale, nelle antiche commedie e in altri libri dell'anime passate
negli Elisi, si trovano delle pitture d'uomini viventi oggidí; nella
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