io mi lasci sfuggire nessuna occasione per 
insegnare quel poco che so alle persone che mi interessano? 
--Ma io--risposi prontamente--mi rifiuto a ispirarvi il benchè minimo 
interesse. 
--Ciò non sta in voi. 
--E perchè? 
--Perchè la simpatia è affatto libera. Vi è permesso di chiudermi la 
vostra porta (mi darete anzi a questo proposito i vostri ordini formali) 
ma non potete impedirmi di pensare a voi e di adoperarmi per il vostro 
bene. 
--Mi sembrate un originale. 
--E sia. Vedete che non mi offendo. È già un buon principio per restare 
amici. 
--Io, se dovessi avere un amico vorrei che fosse principalmente buono e 
poi affezionato, devoto e compiacente anche, disposto a sopportare i 
miei difetti--perchè non è questo il maggior pregio dell'amicizia: 
compatirci reciprocamente? 
--Ho il dispiacere di dovervi contraddire ancora. Direte che la colpa è 
mia, ma ciò non mi impedirà di pensare che è vostra. Cara cugina, 
avete delle idee orribilmente tarlate. Pare impossibile che una così 
graziosa testolina racchiuda un simile museo di ferravecchi. 
--Come? La bontà, la devozione, la fedeltà, la tolleranza, la 
compiacenza... 
--...la gentilezza, la pazienza e aggiungiamone pure ancora una mezza 
dozzina, delle vostre virtù, vedete che le conosco; ebbene non sono 
queste le qualità della vostra cameriera (come si chiama? Brigida, 
mettiamo) e di quell'ottimo Pietro che venne ad aprirmi l'uscio e che si
ricorda di avermi visto piccino? 
--Orsola e Pietro--esclamai quasi ferita da quella punta di ironia che 
sembrava colpire queste mie vecchie affezioni--sono certamente le 
migliori persone che io conosca. 
--Ve l'ho forse negato? Piacciavi rammentare che sono stato 
precisamente io a caricarli di tutta quella corona di virtù, è vero o no? 
--E allora? 
--Allora torniamo all'argomento. Voi desiderate nell'amico le stesse 
qualità dei vostri servitori? 
--Le qualità appartengono indistintamente a tutti. 
--Abbiate pazienza e rispondetemi categoricamente. Desiderate 
nell'amico le qualità di Orsola e di Pietro? 
--Perchè no? 
--Dunque sì? 
--Ebbene sì. 
--Ebbene no, no, no! Comprendo, badate, comprendo benissimo che la 
devozione, la bontà, la tolleranza possano essere il maggior risultato nei 
rapporti tra servitori e padroni; che ad ogni modo questi ultimi debbano 
apprezzarli assai, ma io chiedo ben altro al sentimento che riunisce due 
esseri eguali, senza scopo di lucro nè di interesse. Dove sarebbe 
l'idealità dell'amicizia se questa si limitasse a una dolce tolleranza e ad 
una amabilità benevola? Questo è ciò che si fa nel mondo, lo so bene e 
voi pure ve ne accontentereste. Quattro chiacchiere, una passeggiata, 
una colazione fatta insieme, la scelta dello stesso sarto e il gusto per la 
stessa musica, ecco secondo voi l'amicizia! Ci vuole altro vi dico, altro, 
altro. Che me ne farei di un amico che non dovesse contribuire al mio 
miglioramento, al mio innalzamento? All'amico, pensate, dobbiamo 
dare qualche parte dell'anima nostra, aprirgli questo sacrario
immacolato e farlo riposare nel nostro cuore. L'amicizia è metà 
dell'amore, è qualche volta tutto l'amore: una cosa grande! 
Pronunciò queste ultime parole con un accento profondo che mi diede 
un brivido. Seguì un lungo silenzio. 
--Dunque devo tornare?--disse mio cugino alzandosi lentamente. 
Mentre stavo per rispondergli, interruppe: 
--Vi prevengo che sono poco tollerante, mediocremente buono, gentile 
a scatti e che non mi impegno per la fedeltà. 
--Allora farete quello che vi aggrada--gli risposi, sforzandomi di 
sorridere. 
--Grazie del permesso. 
Si inchinò molto ossequiosamente ed era sul punto di allontanarsi 
quando Alessio inciampando nel tappeto cadde a terra battendosi la 
fronte. Gli strilli del mio bambino lo fecero tornare indietro e un poco 
forse le mie esclamazioni di dolore e i forti baci e le tenerezze che gli 
prodigavo per acchetarlo. 
--Che cosa è successo?--chiese con voce calma, gettando una rapida 
occhiata al piccino.--Perchè piangi? Un uomo non deve piangere. 
Il mio bambino tacque subito e si pose a guardarlo cogli occhioni larghi 
ancora bagnati. Egli sorrise e voltandosi verso di me, disse: 
--Non commovetevi troppo cugina se volete restare forte. 
Pochi momenti dopo io e Alessio, sollevando le cortine di seta rossa, lo 
vedemmo allontanarsi lungo il viale e Pietro che entrava allora per 
annunciarci che il desinare era pronto disse: 
--Che uomo s'è fatto! 
--Tu lo hai conosciuto, Pietro?
--Oh! sì molto. Quando era ancora un ragazzetto veniva da queste parti. 
Egli aveva una singolare predilezione per il boschetto di acacie, in 
fondo al giardino; stava là delle ore intiere a scrivere versi e il padrone 
diceva che quel ragazzo aveva molto ingegno. 
--Come va che io non lo ricordo? 
--La signora era troppo bimba allora; lo avrà visto ma non se ne 
rammenta. D'altronde egli entrava poco in casa; avendone avuto il 
permesso dal padrone passava il suo tempo nel boschetto delle acacie. 
La visita di mio cugino mi lasciò un'impressione che nei successivi 
giorni di silenzio e di solitudine crebbe anzi che scemare. Egli avea 
suscitato nella mia mente un tumulto di idee affatto nuove e quasi    
    
		
	
	
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