racconto. Avevo scritto 
d'affanno e di sdegno, ma ho cancellato lo sdegno, che spiacerebbe alla 
diletta come un'impurità. Non vi ha oramai per lei e per me che un solo 
pericolo su questa terra: un solo dolore chiediamo a Dio di allontanare 
da noi: lo scandalo. Esso è appena possibile, e spero che saremo 
esauditi; ma se nella sapienza divina fosse altro consiglio, faccia, amica 
mia, tutto, tutto ciò che faremo noi, se vivi. Ove non si credesse alla 
mia parola, la confermi con testimonianze e documenti; Le saranno 
forniti, ad ogni richiesta, dal mio amico Dottor Paul Steele, di 
Rüdesheim am Rhein, Prussia. 
È il giorno dei morti, la nebbia fuma intorno alle finestre della solitaria 
villa dove son ospite dei miei nipoti, mi chiude nelle memorie del 
passato. Qualcuno ripete sotto di me, al piano, non so che musica 
monotona di esercizi: odo nella stanza vicina passi tranquilli di servi. 
Nessuno immagina quel ch'io faccio, quel ch'io sento. La mia mano 
trema, il mio petto è un palpito solo, le lagrime mi ascendono alla gola. 
E il racconto parrà poi a me stesso così freddo! Vorrei parlare, ma non 
con la parola che muore, parlare dall'ombra del mondo ignoto con la 
voce viva che va, che va, d'atomo in atomo, non posa mai, è udita forse 
nei mondi inaccessibili all'occhio umano, se vi sono colà spiriti potenti 
a sentire ogni moto. Vorrei poter parlare non alla folla, ma solo ai cuori 
generosi che una calunnia avrà contristati e ai cuori perversi che ne 
avranno goduto. Devo io dunque deporre la penna e affidarmi a Dio? 
Penso a lei, alla stella mia, e odo la sua dolce voce straniera, la voce più 
dolce, io credo, che abbia suonato su labbra umane, dirmi teneramente: 
caro, scrivi; write, love. 
 
II.
Ella sa, amica mia, che fino al 1872 non ebbi segreti per Lei. Se non ci 
siamo amati, quantunque liberi, fu perchè, forse, v'era tra noi troppa 
affinità di sentimenti, troppa comunanza d'idee, troppa fraternità di 
natura; e l'amore, tra noi, sarebbe stato una specie d'incesto. Tale è la 
ragione bizzarra che ne trovammo insieme una volta. Non era tuttavia 
la sola, certo; ne avevamo altre, Lei e io. Non toccherò delle Sue, 
naturalmente; ma si ricorda del sogno che Le raccontai appunto 
nell'inverno del 1872, una sera ch'eravamo soli e ch'io Le avevo portato 
un libro curioso: «Du sommeil et des rêves?» Forse non se ne ricorderà. 
Lo strano del sogno è questo, che lo feci due volte a un intervallo di 
nove anni. Lessi nella mia prima giovinezza la poetica leggenda tedesca 
del pozzo tanto profondo da non potervi nè occhio, nè strumento 
umano arrivare all'acqua. Viene un trovatore, siede sul pozzale e suona 
dolcemente; l'acqua si muove; colui suona e suona; l'acqua sale poco a 
poco, sale sempre, brilla sulla bocca. La notte dopo sognai di salir da 
non so quale abisso per la potenza di una voce soave che diceva in alto, 
con accento straniero, parole incomprese. Mi svegliai piangendo, in 
preda a un orgasmo che mi durò parecchie ore, pieno di questa 
irragionevole idea, che la voce udita in sogno esistesse veramente, 
richiamandone alla memoria, più forte che potevo, il timbro singolare, 
tremando di dimenticarlo. Lo dimenticai in fatti e presto, ma non 
dimenticai il sogno, e non mi uscì di mente l'idea che fosse un sogno 
profetico, una comunicazione arcana della Divinità. 
Nessuna voce femminile mi fece poi risovvenire di quella; ma nel 
gennaio del 1872, durante una convalescenza, rifeci l'identico sogno, 
riudii la dolce voce dall'accento straniero. Otto o dieci giorni dopo 
venni da Lei e Le portai il libro: «Du sommeil et des rêves.» 
È quasi impossibile ch'Ell'abbia dimenticata la mia agitazione di quella 
sera. Può essere ch'io sia mistico per natura e inclinato a credere in 
certe occulte potenze dello spirito umano, in certe sue relazioni segrete 
col soprannaturale; è sicuramente vero che prima del gennaio 1872 
avevo già fatto esperienza due volte, non in sogno, di tali 
comunicazioni dirette; una volta a dodici anni, un'altra sui quattordici. 
La prima volta ne riportai commozione e spavento benchè fosse un 
lieto presagio; tanto era nuovo a me quel concetto, tanto fu improvvisa
e chiara la voce interna che mi parlò. Il presagio si avverò sedici anni 
dopo. La seconda volta non si trattò di presagi, e solo nella vita futura 
saprò se fu un delirio dell'anima o veramente la voce d'un altro spirito, 
come credetti e credo e sta scritto in certo mio libro. Era dunque 
naturale che la impressione del secondo sogno fosse in me fortissima. 
Credevo nella esistenza reale della voce udita, con più ardore ancora, se 
possibile, che la prima volta; credevo all'influenza salutare e potente 
cui avrebbe dovuto esercitare un giorno sopra di me la persona che 
parlava così. Immagini    
    
		
	
	
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