forma ed anima 
italica: già lo stesso Foscolo, classico per eccellenza, pure nuovi modi 
trovava più squisiti e più spirituali, purissimo rifulgendo dai Sepolcri_ 
e dalle _Grazie che loro assunto era schiettamente un pensiero, un 
simbolo: e piegò la prosa a quella mirabile concezione triste e soave, 
scettica e generosa del _Viaggio sentimentale_ di Sterne, aprendo il 
campo al modo artistico dell'analisi che poi avrebbe trionfato nel 
romanzo psicologico. Ed ora, fermandomi ai migliori, (nè mi sia 
bestemia il dire), ecco l'Aleardi che superiore intende al romanticismo 
nella stagione dei risvegli nazionali come l'Hugo in Francia, ecco il
Praga, il lombardo Heine, troppo obliato, troppo poco compreso, ecco 
Stecchetti che accoppia Petrarca elegiacamente col sarcasmo feroce di 
Baudelaire, stanco del già conosciuto e pure debole alla conquista del 
nuovissimo: ora mi fermo volentieri all'ultimo, a Gabriele d'Annunzio 
che nella giovane e luminosa esistenza letteraria dimostrò dalla Terra 
Vergine al Piacere la serie della sua evoluzione e si affermò poderoso 
alla meta coll'Innocente. 
VI. 
Il simbolismo adunque fu jeratico, fu classico ed è personale: distrutta 
la ferocia, ardirono l'amore e la carità: dal Golgota discese alle bellezze 
reali dei sensi ed alle mirabili attività umane, poetando il panteismo di 
Spinoza: ora e queste e quelle si studia di spandere patrimonio a tutti in 
un mondo senza limiti ed in una felicità organizzata da nessuno ed a 
nessuno in ostacolo.--Ma io so per esperienza che esegesi di intenzioni 
non scifra intendimento, tanto più per questa operetta che l'autore vede 
ingigantita sia pel lungo cercare, sia pel lungo lavoro: e so pure che 
queste poche parole non bastano a riflettere l'attuale stato della nostra 
forma poetica.--Altri studi e altre lene occorrono (come il Pica 
ottimamente osò coi precursori francesi) alla sua esplicazione, nè il 
luogo qui si presta, che versi porgo, non saggi critici, futuri forse da me 
su questo argomento, ma non prossimi; e di più so ed intendo, che ad 
orecchie che non vogliono udire nessun rumore giunge, fosse il rombo 
del tuono: onde faccio silenzio. Però ringrazio cordialmente l'amico 
Quaglino quando argutamente propone a sè e ad altrui il quesito: «Il 
simbolismo è arte di decadenza?» E valgami la sua amicizia e il mio 
studio come una speranza a proseguire. 
Il IIIj di Aprile del MDCCCLXXXXIIIJ. 
L'AUTORE. 
IL PRELUDIO. 
I. 
Innalzan l'incensier' l'aroma a spire
dei Troni intorno e dentro a' bei
Giardini:
col canto delli uccelli, i violini
s'accordan pianamente 
colle lire
van su per l'acque azzurre in gaio ardire
le galee valorose 
e, dai gradini
dei templi, accolgon gravi, in gravi inchini,
i Jerofanti 
il bruno e nobil Sire:
poi rinnovansi i Riti e a luna nuova
i 
negromanti raccolgon verbene:
fortune in mar ed inni di Sirene
tra 
li scogli e misteri tra le stelle:
stridon gufi e civette alle mortelle,
mentre indaga alle tombe il Villanuova. 
II. 
Corse tra selve oscure e paurose
a perseguir beltà tristi e gioconde:
Divinità leggiadre, dalle rose
candide nate o dal bollir dell'onde:
dispute, nelle notti, e faticose
opre di Saggi, poi che sulle sponde
dei Miraggi Gloriana ad alte cose
intende il ragionare, e brune e 
bionde 
Acrasie, e insidie e lacci e incantamenti:
(sta l'aria muta e in sè 
sospesa attende
la meraviglia dell'avvenimento:)
e lotte e danze e 
giocondi presagi
nel panteismo che Spinoza rende,
e cavalcate di 
Madonne e Magi. 
Così sen va di tra le Forme e i Sogni
la maga Poesia delli ideali:
va 
per le nubi, nè sente i bisogni
della Carne, poi ch'alle geniali
opere 
vede e Speranza e Desire,
fulgenti e fermi e certi all'A Venire. 
I SONETTI D'ORIANA. 
_Laisse crôitre au vallon les femmes et les roses._ 
JEAN RAMEAU. 
LA FATA. 
Io son la bella Oriana e il seggio mio,
materiato in rubini e diamanti,
scintilla nell'azzurro, in contro a Dio,
tra il nimbo delli incensi 
fumiganti.
I miei baci son filtri e dan l'Oblio,
brillan nelli occhi miei
fascini erranti,
e il mio corpo è una Coppa che il Disio,
abbevera di 
vini estasianti. 
Facile e avventurosa è la mia strada:
invitan l'acque d'or del mio 
verziere,
e sulle rame i bei frutti di giada.
A me i Baron' sulla 
gaietta alfana,
e al tintinnìo d'argentee sonagliere,
vengan le Dame 
in lunga carovana. 
I BARONI. 
E noi veniamo a te, strana Maliarda,
sui cavalli coperti di gualdrappe,
veniamo, gioventù forte e gagliarda.
Or lungo fu il viaggio e per le 
frappe
e le forre dell'Alpe, l'alabarda
nostra splendette e le 
vermiglie cappe
giocar col vento della notte tarda.
Vediam ne' tuoi 
giardin' rider le grappe 
da cui spremi l'Ambrosia del piacere;
vediam te, nuova Acrasia, in 
tanta gloria
porger la Tazza ed invitare a bere:
e noi veniamo a te 
sul bastione
d'oro del tuo palagio, e la Vittoria
squilla per noi la più 
ardita canzone. 
LE DAME. 
E noi veniamo a te, strana Sirena,
che 'l tuo Regno felice abbiam 
sognato,
pallide in volto e li occhi alla serena
notte rivolti e al cielo 
interminato.
Coi capelli infiorati di verbena
abbiam compiuto i riti, 
e il dì beato
trepidanti aspettammo. Ora, con lena,
batton nell'ambio 
le mule il selciato 
di porfido e odoran di lontano
le greppie piene e li stalloni ardenti.
Noi ti    
    
		
	
	
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