Il libro delle figurazioni ideali | Page 3

Gianpietro Lucini
siamo detti decadenti
e, non essendolo forse, resteremo.
Decadenti però non in quanto all'opera, ma in quanto alla vita:
decadenti, perchè ogni cosa che ne circonda, scienza, religione, forma
politica, economia, si tramutano, nè il tramutarsi è senza una fine, nè la
fine è senza una morte od una rovina: nè senza morte e putredine havvi
nuova vita. Se ciò è dunque vero, quale arte, quale
rappresentazione
grafica o plastica è possibile che sia l'espressione dei tempi nostrì, di
questa lotta contro il già fatto per il fare nuovissimo, di questo
abbattere il finito e l'incatenato per la libertà?
Ogni passo avanti che calpesti un pregiudizio, una forma sussistente
non nella coscienza ma nell'aspetto, un diritto che si fonda non
sull'eguaglianza ma sulla disparità, una sanzione che consacri non la
universalità ma il singolare, un privilegio che difenda non una sostanza
ma un'apparenza: questo passo sarà sempre una conquista nel campo
morale e materiale della società: la comunità non rivolge mai le spalle
alla meta: fuorvia e vaga, e sarà allora davanti ad un ostacolo troppo
prepotente, per scansarlo, o per seguire più alacremente il pensiero, cui
il desiderio suscita coll'urgenza alla fine, ma che il potere non consacra
nè concede. La comunità si riposerà, ma come un naviglio che scenda
per la corrente e non apra vela o stenda remo per aiutare il cammino: la
corrente, di natura, lo porterà con sè alla foce. Questa è decadenza: nè
io comprendo altra decadenza che, passato l'impeto dell'azione
muscolare e di un rivolgimento assodato di nazioni e di società, la sosta
del pensare sociale per l'attuazione di nuove utilità migliori, quando già
le prime ed antiche l'uso stesso abbia logorato, che, decrepite, siano

vicine ad essere insufficienti.
Decadenza quindi rispetto a noi, non rispetto alla filosofia della storia,
decadenza nel rapporto, in quanto ricerchiamo la sostanza nuova di
tutte le cose, la quale non solo abbia informato l'antico modo, ma ora
per nuova virtù lo abbatta e ne costruisca uno migliore; decadenza in
quanto lottiamo ad impadronirci di questa sostanza, forma e materia
addoppiata, mentre l'idea brilla ed il mezzo di renderla evidente e sicura
manca, ma verrà trovato.
III.
E perchè allora cercando il nuovo si torni all'antico? Esistono forme
immemoriali indistruttibili, segni percepiti e già svolti che identificano
l'umanità nel simbolo. Il simbolo è come l'esistenza: nè l'esistenza
manca d'evoluzione, perchè continuo moto, nè come esistenza è privo
di meta per quanto sia. Le attitudini umane, le forze, vale a dire i vizi e
le virtù, esistono quindi colla vita; da questi la rappresentazione, ossia
la percettibilità di questi enti astratti al pensiero e quindi il simbolo
primordiale, che è il rapporto della sostanza morale descritta, come la
formola fisica e matematica è il rapporto del fatto che vuol esprimere. Il
progresso evolve pel tempo e per la educazione queste prime attitudini,
ma tramutandole non le sopprime, come le rivoluzioni riformano la
società ma non la annullano; ed allora il simbolo moderno. Civiltà fu
sempre come rapporto al già fatto: simbolo nostro è in quanto vogliamo
fare.--Arte usò sempre di queste imagini, le piegò alle esigenze del
tempo e dell'uomo, ma lasciò intatta ed invincibile la sostanza prima:
arte fu eclettica, nè volgesi a sè stessa solamente, che allora è artificio
dannoso; ma per la sua maestà, per la sua bellezza, per la sua grazia
s'impose all'uomo e fu prima scienza di sentimento, storia di sensi,
armonia di parole avanti che sorgessero la musica, le scienze e le
religioni.--Che è altro arte se non una serie di rappresentazioni; che le
rappresentazioni se non una serie di imagini? Ora, l'imagine è un
rapporto dell'ente naturale diretto, o, nel semplice sforzo di fermarlo,
l'elemento umano non entra come massimo coefficiente? In tal caso
questo elemento toglierà od aggiungerà, sia per la debolezza, sia per
l'esuberanza del soggetto rappresentatore, sempre alcun che alla

sostanza che si voleva rappresentata, in modo da sformarne l'imagine.
Così l'arte è allora espositrice della natura all'umanità, quando l'umanità
non solo vi riscontri l'aspetto sintetico del mondo esterno, ma quando
anche senta nel poema, nell'opera plastica e sinfonica la propria
personalità, il proprio «io» collettivo di quel momento e di quello stato.
IV.
Tre sono le epoche simbolistiche nella storia, come tre i rinnovamenti e
le rivoluzioni.
Nell'ultimo secolo dell'impero romano, allo schiudersi del

rinascimento, la prima: s'innovano costumi, risorgono lingue e popoli,
si sfasciano religioni e s'instaurano nuove, si diroccano castelli e templi
ed altri ancora si estruggono di stili non saputi prima, cui laborava un
ingegno recente nelli uomini del nord. L'arte, dal caos letterario, dal
caos delle leggende e dei racconti indecisi che promanavano
dall'estremo oriente e dall'ultimo settentrione con opposte particolarità,
pure fondendosi nell'urto delle crociate, l'arte, del lavorìo secolare ed
indistinto, ma sempre fermo ed alacre di nuovi idiomi nazionali che
s'innalzavano dalle plebi e dai campi,
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