là si era creduto 
tutto quel complesso di dogmi, di discipline, di pratiche, che costituisce 
il cattolicismo. Allora si volle tutto richiamar in esame. Fin là si era 
venerata la sacra scrittura qual era interpretata dalla chiesa, depositaria 
della tradizione apostolica ed unica dispensiera della verità; allora si 
volle libero a ciascuno d'interpretare la scrittura a suo senno privato. 
Invano i capi riformatori, fallendo al proprio assunto, vollero limitare le 
credenze con simboli, ai quali mancava ogni autorità. Né, ammesse le 
negazioni di Lutero e di Calvino, s'aveva titolo per escludere quelle 
degli Anabattisti, dei Sociniani, degli Entusiasti, che ripudiavano la 
Trinità, e la divinità di Cristo, e ogni rivelamento fuor dell'ispirazione 
personale. 
La Chiesa non aveva mai dissimulato, e tanto meno giustificato, i 
disordini e gli abusi pullulati nel suo seno; né mai tenne quei sublimi 
suoi comizii, che chiamansi concilii, che non facesse savii decreti di 
riforma. E forse un uomo di alta e sincera volontà avrebbe anche allora 
potuto condurre a mediazione pacifica, a risoluzione cristiana la 
chiassosa discrepanza delle credenze e degli atti, adoprandovi l'amore, 
non l'ira, l'abbraccio, non la repulsione, per saldare l'unità, anzichè 
sconnetterla irreparabilmente. Ma, come in altri simili casi, la potenza 
minacciata s'addormentò sull'orlo del precipizio: papa Leone, dedito al 
deliziarsi ed alle lettere, e poco temendo dai Tedeschi che reputava 
grossolani e sprovvisti di maschia volontà, non ebbe tal dissensione in 
più concetto delle tante scolastiche, le quali nascevano e morivano 
senza lasciar traccia, fra gli ozii ringhiosi e superbi dei conventi e delle 
università. Scossosi poi, come persona che è destata per forza, diede in 
estremi, che precipitarono la ruina. Adriano, successogli, conobbe gli 
abusi della curia romana e del clero, e pensava efficacemente al 
rimedio. Ma la morte gli ruppe il disegno, e i letterati ne menarono 
trionfo. Quando i successori videro a quanta importanza riuscisse il
movimento, già si era là dove inutili uscir dovevano ammonizioni, 
consigli, scomuniche. Stabilita già in più parti la nuova credenza, e 
sostenuta coll'ardore della novità, coll'autorità d'uomini che avevano 
studiato a fondo, coll'interesse di quei che avevano usurpato i beni delle 
chiese e dei conventi, coll'appoggio dei principi, che, tolto l'ostacolo di 
Roma, potevano ormai fare ogni lor voglia, come capi nello spirituale, 
al pari che nel temporale, fin colla prepotenza delle armi. Tutto furono 
allora i Cattolici in impedire che la Riforma trapelasse nei paesi ancora 
mondi, massimamente nell'Italia, dove le crescevano pericolo l'acutezza 
e curiosità degli intelletti arditi e vaghi del nuovo, l'abitudine letteraria 
di cuculiare preti e frati, il conoscersi da presso le esorbitanze romane e 
l'aver i governi avvezzato i popoli a non tener come sacro tutto quanto 
fosse papale, né far gran caso delle benedizioni e degli interdetti. Libri, 
scuole, missionarii, legati furono disposti, come barriera, contro la 
Svizzera e la Rezia, donde il contagio viepiù si faceva vicino. 
Imperocché, contemporaneamente a Lutero e senza sapere di lui, il 
curato Ulrico Zuinglio, in occasione che vi vendeva le indulgenze fra' 
Bernardino Sansone da Milano, aveva cominciato a predicare a Zurigo 
che una vita pura ed un'anima religiosa più sono accettabili al cospetto 
dell'Eterno, che non macerazioni e pellegrinaggi. Poi, che il pane ed il 
vino erano soltanto simboli del SS. Corpo e Sangue. Indi via via, sulla 
messa, sul purgatorio, sulla confessione, sul venerare i santi, sul 
celibato dei preti, una folla di novità che pretendeva antichissime. 
Sono i Grigioni discendenti da quei Reti che, devoti a libera morte, 
difesero l'indipendenza loro contro le armi di Roma, stando a scirocco 
della Svizzera, nelle valli dove sorgono il Reno e l'Inn, e dove molti 
Romani rifuggirono al cader dell'antichità, siccome l'attesta la lingua 
che ancor vi si parla, detta ladina e romancia. 
Fra le turbinose vicende che mutarono faccia all'Europa, subirono 
anch'essi le leggi della prepotente feudalità e il dominio dei vescovi di 
Coira e d'una folla di signorotti che, possedendo appena poche pertiche 
di paese, si arrogavano però la sovranità indipendente, guerreggiavano 
coi vicini, opprimevano i sudditi, svaligiavano i viandanti. 
Ai costoro soprusi opposero i popoli la concordia dei voleri. Insorti, 
furono però moderati dall'essersi posti alla loro testa il vescovo di Coira, 
gli abati di San Gallo e di Dissentis, sotto la cui direzione si formò la 
lega Caddea.(2)
Gli altri preti ne presero coraggio a domandare ai loro signori giustizia 
e sicurezza. I quali signori, accoltisi intorno ad un acero che si venera 
presso Truns, fra Hanz e l'abadia di Dissentis, e sospesi i loro grigi 
gabbani al ferrato bastone infisso nelle rupi, giurarono d'essere buoni e 
leali federati, e così formossi la _lega grigia_(3) che diede agli altri il 
nome di Grigioni. Quando poi fu morto l'ultimo dei conti di 
Tockeburgo, i suoi vassalli strinsero la lega delle dieci dritture o 
giurisdizioni(4). Coll'oro, col coraggio, colla spada, assicuratisi dalle 
minacce dell'imperatore Massimiliano, che voleva rimetterli a    
    
		
	
	
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