scala; il
Rosati lo seguiva da vicino e il Massa saliva a due a due gli scalini per 
non rimanere a distanza. Giù sulla piazzetta il sor Domenico invitava 
tutti a salire e a un tratto la scala fu guernita di persone di ogni ceto che 
parevano impazienti di mettersi a tavola, e sulla piazza non rimasero 
altro che alcune donne, due coppie di guardie di pubblica sicurezza 
addossate al muro e due carabinieri, che camminavano pesantemente in 
su e in giù senza scambiar parola fra di loro. 
Appena il principe della Marsiliana comparve nella sala bassa 
dell'osteria ornata sulla parete principale di un affresco raffigurante 
Muzio Scevola con la mano sull'ara, e su quella di fondo, di un teatrino, 
la sora Lalla alzò la mano, il capo della banda collocata sul 
palcoscenico dei burattini brandì il bastone del comando, e le trombe 
intonarono la rumorosa marcia dell'Aida. 
Don Pio guardò il Rosati e atteggiò le labbra a un lieve sorriso di 
scherno vedendo quel tugurio basso, tutto pieno di tavole, i quartaroli 
del vino posati sulle panche e vedendo sopratutto quei pezzi d'uomini 
di bandisti aggruppati sopra il palcoscenico, con le quinte più basse di 
loro e le teste che rimanevano celate dal palco; ma fu un sorriso 
impercettibile, e messosi l'occhialino all'occhio sinistro si accostò alla 
sora Lalla e le stese la mano. 
--S'è affaticata tanto per me,--le disse sorridendo. 
--Ci siamo avvezzi al lavoro, Eccellenza,--disse la sora Lalla 
togliendosi la mano destra di sul fianco per darla al principe. 
Al sor Domenico, che giungeva in quel momento, spuntarono le 
lagrime agli occhi vedendo la mano della moglie in quella del principe 
della Marsiliana, e volgendosi addietro gridò, come per dare 
l'intonazione alla folla che lo seguiva: 
--Evviva il nostro candidato! 
--Evviva!--rispose la folla. E il capo banda a un tratto troncò la marcia 
dell'Aida per incominciare l'inno di Garibaldi.
Una grande confusione regnava nella sala, aumentata dalla musica e 
dalla troppa gente che, volendo passare per recarsi nella terrazza 
coperta dalla pergola, lavorava di gomiti e spingeva quelli che le 
facevano resistenza verso la tavola principale, che era quella d'onore. Il 
sor Domenico, accorgendosi che il principe della Marsiliana era pigiato 
verso le sedie o doveva presentare le spalle per resistere all'urto, alzò la 
testa, la quale dominava la folla, e gridò: 
--Ragazzi, fate largo! 
Tanto quelli che erano assuefatti ad ascoltarlo, quanto gli altri che, 
forse per la prima volta, il caso poneva accanto a lui, ubbidirono a 
quella voce dolce, che aveva nel comando una intonazione di 
convincente preghiera, e intorno al principe si formò un vuoto. 
Don Pio, volgendosi all'oste, gli disse sorridendo: 
--Se così vi ascoltano, la mia elezione è assicurata. 
--Non credo,--rispose l'oste con la sua solita franchezza.--Vostra 
Eccellenza ha molti avversari fra i popolani. Se la principessa fosse 
venuta qui, domani a otto, tutti votavano per lei, ma così, ci vuole un 
colpo, un colpo da maestro, se ne rammenti. 
Il principe, guardando la folla, si arricciava il baffo sinistro senza 
rispondere, e intanto si avviava al posto d'onore indicatogli dall'oste e 
già stava per sedersi, quando Caruso gli si accostò e chinandosi 
all'orecchio di don Pio, gli disse a bassa voce: 
--Prometta di adoprarsi per fare approvare la stazione in Trastevere e 
tutti i voti sono suoi. 
Don Pio, che da un quarto d'ora cercava inutilmente la promessa che 
doveva assicurargli i voti dei popolani di quel rione, udendo quel 
suggerimento si voltò di scatto a veder chi glielo dava, e non seppe 
nascondere quanto facevagli piacere. 
--Grazie,--disse a Caruso, stringendogli con effusione la mano.
--Niente,--rispose l'altro abbassando la testa. 
Accanto al principe si era seduto a destra il sor Domenico e a sinistra il 
posto restava vuoto; don Pio avrebbe voluto che quella seggiola fosse 
occupata dal Caruso per parlare con lui, ma non ebbe il coraggio di 
chiamarlo. Lo conosceva appena, già era debitore a quell'uomo di una 
idea che non gli sarebbe mai nata e non voleva che vincoli maggiori di 
gratitudine si stabilissero fra lui e quello sconosciuto. In quel momento 
penetrava a stento fra la folla l'onorevole Serminelli, deputato di un 
collegio d'Abruzzo, e don Pio Urbani fecegli cenno di andare accanto a 
lui. 
Erano già state servite le fettuccine nei vassoi ricolmi, e tutti si erano 
empiti il piatto tirandone giù un mucchio e lasciandone cadere sulle 
tovaglie, che erano in più punti imbrattate di sugo. Soltanto nella 
vicinanza del principe la gente mangiava poco e la tovaglia era ancora 
bianca. Il sor Domenico stesso, messo in soggezione, non aveva il suo 
bell'appetito di tutti i giorni, e la sora Lalla, che non perdeva d'occhio 
nessuno e dirigeva il servizio, si accostava ogni tanto al principe, al 
marito o a Fabio Rosati, col quale aveva maggior confidenza, e invitava 
or l'uno or l'altro a mangiare e sopratutto    
    
		
	
	
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