Gli duoi fratelli rivali | Page 9

Giambattista Della Porta
ché non mi basteria il
cuor mai.
SIMBOLO. Sará forza che lo facciate.
DON IGNAZIO. Mi farei uccider piú tosto.
SIMBOLO. E se non volete, farete che vostro fratello s'accorga che
stiate innamorato di Carizia, e come uomo di torbido e precipitoso
ingegno vi preverrá a tôrsela per moglie, o verrete a qualche cattivo
termine insieme.
DON IGNAZIO. Dubbito di non incorrere in qualche inconveniente
peggiore.
SIMBOLO. Che cosa di mal di ciò ne può avvenire?
DON IGNAZIO. Son disposto far quanto tu mi consigli.
SIMBOLO. Ecco madonna Angiola che viene a casa.

SCENA II.
ANGIOLA, SIMBOLO, DON IGNAZIO.
ANGIOLA. (Conosco a prova che il peso degli anni è il maggior peso
che possa portar l'uomo su la sua persona, poiché in sí breve viaggio
che ho fatto, son cosí stanca come si avesse portato qualche gran

soma).
DON IGNAZIO. (Vo innanzi a toglierle la via).
ANGIOLA. (Son inciampata con don Ignazio c'ho cercato fuggir con
ogni industria, ché so che cerca parlarmi di Carizia mia nipote; né
vorrei che prorumpesse in qualche cosa men ch'onesta).
DON IGNAZIO. Signora Angiola, ho desiato gran tempo ragionar con
voi d'un negozio importantissimo.
ANGIOLA. Eccomi al vostro commodo: ben la priego a non trattarmi
di cosa che men che onesta non sia.
DON IGNAZIO. Certo non farei tanto torto alla sua bontá, alla mia
qualitá; né l'importanza del negozio né il tempo richiede questo.
ANGIOLA. Poiché le vostre costumate parole, degne veramente di quel
cavaliero che voi sète, m'hanno sgombro dal cuor ogni sospetto, eccomi
pronta ad ogni vostro comando.
DON IGNAZIO. Sappiate, madre mia, che da quel giorno--che non so
si debba chiamarlo felice o infelice per me--che vidi la bellezza e
l'oneste maniere di Carizia vostra nipote, m'hanno impiagata l'anima di
sorte che, se voglio guarire, è bisogno ricorrere a quel fonte donde sol
può derivar la mia salute.
ANGIOLA. Signor don Ignazio, so dove va a ferir lo strale del vostro
raggionamento.
DON IGNAZIO. Non ad altro che ad onesto e onorato fine.
ANGIOLA. Perdonatemi se cosí immodestamente vi rompo le parole in
bocca. Sappiate che se ben Carizia mia nipote è giovane, nasconde
sotto quella sua etá acerba virtú matura, sotto quel capel biondo saper
canuto, sotto quel petto giovenile consiglio antico; e se ben è povera
d'oro, l'onore non li fa conoscer bisogno alcuno, perché si stima ricca
d'onore e di se stessa: e nella sua onestá s'inchiude il suo tesoro e la sua

dote. Onde non sperate che il falso splendor d'oro o di gioie le appanne
gli occhi; né col mostrarvi vinto della sua bellezza, di vincer lei; o col
mostrarvi ubidiente, trionfar della sua volontá; o col mostrarvi servo,
signoreggiarla: perché il vostro sperar fia vano, e la moverete piú tosto
ad odio che ad amarvi.
DON IGNAZIO. Signora, io n'ho piú timore veder i suoi lumi turbati di
sdegno contra di me--da' quali depende il maggior contento ch'abbi
nella vita--che perder l'istessa vita; e vi giuro per quel cielo e per Colui
che ci alberga dentro, ch'amo le sue bellezze come modesto sposo e
non come lascivo amante; ché chi ama la bellezza e non l'onore, non è
amante ma inimicissimo tiranno.
ANGIOLA. Dubito che non mi proponiate un infame amore sotto una
onorata richiesta di nozze.
DON IGNAZIO. O Iddio, non mi conoscete nel fronte e negli occhi
pregni di lacrime l'effetto della mia fede, che son ridotto all'ultimo
termine della mia vita? ché se non voglio morire, son costretto toglierla
per moglie?
ANGIOLA. Ditemi di grazia, che cosa desiate da lei?
DON IGNAZIO. Se non che pregarla che m'accetti per sposo, pur se
non sdegna cosí basso sogetto.
ANGIOLA. Non sapete voi meglio di me che questo ufficio convien
farsi col padre e non con lei, perché non lice ad una donzella dispor di
se stessa?
DON IGNAZIO. Io non cerco altro da lei in ricompensa del singular
amar che le porto, che sia favorito da lei dirglielo con la bocca e con le
mie orecchie sentir le sue parole e pascer per quel breve momento gli
occhi miei avidi e affamati, in cosí lungo digiuno, della sua vista; ché
da quel giorno della festa non fu mai possibile di rivederla.
ANGIOLA. Se ben quel che mi chiedete non abbi molto dell'onesto,
pure traporrò l'autoritá mia, per quanto val appo lei, d'indurlaci; ché,

raggionandosele de voi, ho conosciuto nel suo animo non so che di
tacito consentimento. Fratanto che attendete la risposta, potrete
trattenervi qui intorno, ché io vo' entrar in casa.
DON IGNAZIO. Che dici, Simbolo?
SIMBOLO. Ad una dura e faticosa impresa vi sète posto.
DON IGNAZIO. Per lei tutte le fatiche e le durezze mi sono care; né
mai le grandi imprese si vinsero senza gran fatiche.
SIMBOLO. Perdete il tempo.
DON IGNAZIO. E che tempo piú degnamente potrá perdersi come
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