fu piú la Fame al mondo, ed io sono suo luogotenente e ho due 
fami in corpo, la sua e la mia. Ma prima andiamo a mangiare; se non, 
che mi mangiarò te intiero intiero: Dio ti scampi dalla mia bocca! 
MARTEBELLONIO. Tu sei un gran bugiardo! 
LECCARDO. Voi sète maggior di me: son un vostro minimo! 
MARTEBELLONIO. Dimmi un poco, quanto tempo è che Calidora 
non t'ha parlato di me? 
LECCARDO. Ogni ora che mi vede; e quando passegiate cosí altiero 
dinanzi le sue fenestre, spasima per il fatto vostro. 
MARTEBELLONIO. Io so molto ben che la poverella si deve strugger 
per me, ché n'ho fatto strugger dell'altre. Ma io vorrei venir presto alle 
strette. 
LECCARDO. Ella desia che fusse stato; e se voi mi pascete ben questa 
sera, io vi recarò buone novelle e vi do la mia fede. 
MARTEBELLONIO. Guardati, non mi toccar la mano, ché se venisse, 
stringendo te ne farei polvere, ché stringe piú d'una tanaglia.
LECCARDO. Cancaro! bisogna star in cervello con voi! 
MARTEBELLONIO. Quando mi porterai nuova che vada a giacer con 
lei, ti farò un pasto da re. 
LECCARDO. (Prima sarò morto che sia pesta la pasta per questo 
pasto!). 
MARTEBELLONIO. Io ti farei mangiar meco; ma perché oggi è 
martedí, in onor del dio Marte non mangio altro che una insalatuccia di 
punte di pugnali, quattro ballotte di archibuggio in cambio d'ulive, due 
balle d'artigliaria in pezzi con la salsa, un piatto di gelatina di orecchie, 
nasi e labra di capitani e colonelli, spolverizzati sopra di limatura di 
ferro come caso grattuggiato. 
LECCARDO. Che sète struzzo che digerite quel ferro? 
MARTEBELLONIO. Lo digerisco, e diventa acciaio. 
LECCARDO. Dovete tener l'appalto con i ferrari dell'acciaio che 
cacate. 
MARTEBELLONIO. Andrò a consultar un duello e tornando 
mangiaremo: cosí ad un tempo sodisfarò alla mia fama e alla tua fame. 
LECCARDO. Giá si è partito il pecorone: se non fusse che alcuna volta 
mi fa far certe corpacciate stravaganti in casa sua, non potrei soffrir le 
sue bugie. Mangia la carne mezza cruda e sanguigna: e dice che cosí 
mangiano i giganti, e che vuole assuefarsi a mangiar carne umana e 
bersi il sangue de' suoi nemici. Non arò contento se non gli fo qualche 
burla. Andrò in casa di don Flaminio che deve aspettarmi. 
 
ATTO II 
 
SCENA I.
DON IGNAZIO, SIMBOLO. 
DON IGNAZIO. Dura cosa è l'aver a far con i servidori: sa ben 
Simbolo quanto desio di andar a trovar mon'Angiola, e non ritorna. Ma 
eccolo.--Come hai fatto aspettarmi tanto, o Simbolo? 
SIMBOLO. Come saprete quanto ho fatto in vostro serviggio, mi 
lodarete della tardanza. Sappiate che incontrandomi con don Flaminio, 
mi domandò con grande instanza di voi; e domandando io la caggion di 
tanta instanza, rispose che non voleva dirlo se non a voi solo. Mi lascia, 
e m'incontro con Panimbolo, il quale altresí mi dimandò di voi; e 
pregandolo mi dicesse che cosa chiedeva da voi, disse in secreto che 
don Flaminio aveva conchiuso col conte di Tricarico il matrimonio 
della figlia, e che vi vuol dare quarantamilla ducati purché foste andato 
a sposarla per questa sera.... 
DON IGNAZIO. Oimè, che pugnale è questo che mi spingi nel core? 
Mi rompi tutti i disegni e conturbi quanto avea proposto di fare: me hai 
morto! 
SIMBOLO.... Io, accioché non vi trovasse prima di me e vi cogliesse 
all'improviso, corro di qua, corro di lá per trovarvi, né lascio luoco, 
dove solete pratticar, che non avesse cerco. Fratanto considerava fra me 
stesso cotal nuova: cado in pensiero che sia un fingimento di vostro 
fratello di scoprir l'animo vostro, se stiate innamorato d'alcuna donna.... 
DON IGNAZIO. Buon pensiero, per vita mia! 
SIMBOLO.... Per chiarirmi di ciò, con non men subito che ispedito 
consiglio me ne vo in casa del conte di Tricarico, e non vedo genti né 
apparecchi di nozze. Piglio animo ed entro con iscusa di cercar don 
Flaminio, e me ne vo insin in cucina e non vi veggio né cuochi né 
guattari. Dimando di don Flaminio, e mi rispondono che è piú di un 
mese che non l'han veduto. Mi fermo e veggio il cappellano: entro in 
ragionamento con lui, e mi dice che il conte questa mattina è gito a 
Tricarico a caccia, e mi dice che molti giorni sono che del matrimonio 
piú non si tratta, anzi stima che don Flaminio vuol dargli la baia.
DON IGNAZIO. O Simbolo, che sia tu benedetto mille volte, 
ch'avendomi con la prima nuova tolto l'anima, con questa me l'hai 
riposta in corpo! Quando mi disobligarò di tanto obligo? 
SIMBOLO. Or dunque, venendo a voi don Flaminio a farvi la proposta, 
accioché piú l'inganniate e confirmiate nel suo proposito, mostrate 
grandissima allegrezza, accettate l'offerta; e si dice per questa sera, voi 
diteli per allora. 
DON IGNAZIO. Or questo sí che non farò io,    
    
		
	
	
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