«Vieni qua, gli dice Donato, obbedendo ad un'ispirazione. 
Il fanciullo si accosta titubante. 
«Chiudi gli occhi, ed indovina che moneta è questa.» 
Il fanciullo è sicuro d'indovinare e vuoi guadagnare il suo denaro 
onestamente. E allora Costanza, sorridendo, porge la fronte a Donato 
che vi imprime un bacio ardente e lungo. 
--Un soldo!» dice il monello.
E non venendogli subito risposto, corregge: «Due soldi!» 
Questa volta indovina e in premio ne ottiene altri sei. Che gioia pura, 
profonda e muta! Il fanciullo afferra il suo tesoro senza dir parola e 
corre a gambe levate giù pel bosco, mentre Costanza e Donato 
attraversano, a braccetto e pensosi, il viale che dalla chiesa mena a 
Romanò. 
IV. 
Sono passati sei giorni e sta per passare il settimo. 
Donato non fu mai così assiduo alla scuola, nè così attento alle lezioni; 
se la storiella delle seimila lire non avesse fatto il giro della scolaresca 
nelle prime ventiquattr'ore, i velocipedisti della classe non avrebbero 
tralasciato di far segno alla comune riprovazione quell'ipocrita 
diligenza alla vigilia degli esami. Ma non si può credere quanto le 
seimila lire perdute a bassetta avessero arricchito Donato 
nell'estimazione dei colleghi; egli poteva ora comportarsi a modo suo, 
intervenire ogni santo giorno alla scuola, fare il sordomuto durante tutta 
la lezione, sporcar quinterni colla matita, mangiarsi cogli occhi il 
professore, e rimanere a lezione finita come inchiodato sulla panca per 
porre in ordine le proprie note; egli poteva anche non farsi più vedere al 
circolo o al caffè, come appunto faceva, che tanto nissuno pensava a 
fargliene un carico. A togliergli di dosso il ridicolo della nuova parte, 
ad ingrandirlo dieci buoni cubiti sul livello del volgo bastava 
quest'unico fatto, memorando negli annali della Scuola d'Applicazione, 
che egli aveva perduto sei mila lire e in grandissima parte non le aveva 
ancora pagate. 
Tanta freddezza d'animo pareva indizio di natura eccezionale; la 
condotta scolasticamente esemplare al domani del giorno nefasto della 
bassetta, alla vigilia del giorno nefasto della scadenza della cambiale, 
pigliava aspetto di eroismo. 
Il fatto è che Donato aveva il cervello in processione e il borsello vuoto. 
Nel lasciare la paterna villetta, egli si era pure reso conto, con un rapido 
esame di coscienza, di questo vero sacrosanto, che non gli rimaneva più
un quattrinello in tasca, ma il signor padre non chiese informazioni e il 
signor figlio non osò darne; e Donato partì, e venne a Milano, e ci visse 
sei lunghi giorni e quasi il settimo, con mille idee nel capo e con un 
nuovissimo tesoro in cuore--ma senza uno spicciolo. Per fortuna lo 
scetticismo degli osti non regge quasi mai allo spettacolo dell'ingenuo 
entusiasmo con cui gli studiosi sogliono divorare le pagnotte e il resto; 
nell'età in cui si è buoni solo a consumare, e si consuma con tanta 
convinzione, è facile desinare a credenza; quando non si è più scolari 
l'accostarsi alla cattedra d'un oste per chiedergli da pranzo, in nome 
d'un vaglia che non si è potuto riscuotere perchè era chiuso lo sportello, 
o d'una somma che deve arrivare proprio al domani, può parere un atto 
pieno di difficoltà e di incertezze; a vent'anni è naturale e sicuro. 
Donato adunque, vinte alcune lievissime velleità espiatorie che gli 
consigliavano il digiuno, si sfamò. 
Quanto alle lezioni di meccanica applicata, non è da credere che egli le 
applicasse proprio come doveva. Certo lo scolaro era lì, immobile, 
cogli occhi negli occhi del professore; ma quante volte Donato piantò 
scolaro e maestro nella classe, per andarsene a Romanò a contemplare 
le linee d'un bel visino, a scomporre ed a ricomporre i mille congegni 
del proprio cuore? Tutto l'esser suo è ora fatto obbediente ad una leva, 
non sa se interresistente o interpotente od altro, ma prepotente certo: 
l'amore di Costanza; il dolce delirio si aggira sopra un perno solo: 
l'indimenticabile bacio. 
Ah! se avesse dato retta al proprio desiderio, e se la fanciulla avesse 
dato retta a lui, egli avrebbe chiesto ed ella avrebbe dovuto concedere 
molti compagni a quell'unico bacio saporito! 
Le tornava al fianco come un'ombra, intento, combattuto fra la 
trepidanza d'essere importuno ed il desiderio d'essere un eroe; 
rispondeva con un sorriso alla tenera sollecitudine di Mariuccia, la 
quale aveva visto il letto del fratello intatto e non sapeva che pensare, 
tappava la bocca al rimorso perchè stesse zitto, sentiva in cuore una 
gioconda danza di baldi propositi, si prometteva mille ricchezze, e 
smaniava perchè mancavano due ore sole alla partenza ed egli così 
perdeva il tempo senza far nulla. E che male ci sarebbe stato se egli
avesse detto a Costanza: «ancora uno» e poi «ancora uno, ancora uno?» 
Un bacio di più non impoverisce chi lo dà e fa ricco chi lo riceve; così 
pareva a Donato. E siccome Mariuccia non se n'andava mai, gli veniva 
voglia di tirarsela fra le braccia, di farle chiudere    
    
		
	
	
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