mutata in attrazione 
pel fascino di un barolo squisito. 
Il curato si scusava:--Forse che alla chiesa non conveniamo tutti, uomini dabbene e 
peccatori, papisti e scomunicati, intorno all'altare del Dio uno e vero? 
E il farmacista rifletteva:--Dinanzi alla malattia non conosco avversarii politici; io 
prodigo i miei medicinali anche ai vili moderati che vorrei avvelenare di arsenico. La 
malattia e la sete stanno al di sopra di ogni rancore di partito. 
Il sindaco, nella sua qualità di moderato, credeva dar prova di sublime tolleranza,
trincando coi due partiti estremi. 
Di qual modo si erano introdotti nella casa dell'eccentrico signore tre individui di 
opinioni così avverse? 
Il signore li aveva conquistati nei primi tempi del suo soggiorno in paese. Ciascuno alla 
sua volta, il curato, il sindaco e il farmacista, avevano ricevuto dal forestiere una carta di 
visita ed un autografo accompagnato da un biglietto a stampa di effetto miracoloso. 
Sulle carte di visita era impresso uno stemma gentilizio sovrapposto ad una parola 
enigmatica, che i tre sapienti del villaggio non avevano osato interpretare: Abrakadabra. 
I biglietti a stampa erano altrettanti boni della banca nazionale del valore di cinquecento 
franchi cadauno. 
Le tre lettere determinavano lo scopo e l'indirizzo dell'oblazione. 
La prima, al curato, per l'obolo di San Pietro; 
La seconda, al sindaco, pel monumento a Vittorio Emanuele; 
La terza, al farmacista, da suddividersi fra le due collette promosse da Garibaldi e da 
Mazzini pel milione di fucili... e pel soccorso alla libera stampa. 
Il curato, il sindaco e il farmacista, nell'aprire quell'inatteso dispaccio, nel constatare le 
intenzioni del generoso oblatore, si erano fregati le mani a versarne sangue, esclamando 
con enfasi da partigiani: il signore è dei nostri! 
Ed ecco per quale impulso i tre avversari politici del paesello si erano recati a visitare il 
signore, coincidendo intorno alla grossa bottiglia, che poi doveva riavvicinarli 
quotidianamente a discutere i grandi problemi della politica mondiale. 
Durante la polemica, il contegno del signore era sempre enigmatico. Taceva con 
disperante costanza. La sua fronte spaziosa a volte si corrugava: i suoi occhi profondi 
vibravano lampi; le labbra tumide e sorridenti si contraevano, e i denti si serravano con 
sinistro cigolio. 
Pareva ch'egli facesse uno sforzo violento contro gli impeti della propria volontà, per 
reprimere un torrente di idee e di parole che tentavano prorompere. 
Quelle crisi erano passeggiere, ma atterrivano gli oratori, e imponevano agli entusiasmi 
della loro facondia. 
Un silenzio solenne regnava per qualche tempo nella sala. 
«Che razza d'uomo!--pensava il curato--credo ch'egli abbia il diavolo in corpo!» 
E gli occhi dei tre antagonisti si incontravano nell'espressione di un sentimento comune; 
vattel'a pesca come la pensi costui!
Queste pause della politica erano ordinariamente impiegate nelle libazioni più generose. 
Tutti vuotavano il bicchiere, e si affrettavano a riempirlo come soldati che si preparino a 
nuovi attacchi. 
Brevi uragani. Si scioglievano senza rumore e senza danno. 
La fronte del signore riprendeva la sua calma severa--l'occhio si dileguava nelle palpebre 
folte, e il labbro si ricomponeva al più mite sorriso, nell'articolazione di una parola 
misteriosa: Abrakadabra. 
Quella parola era il terrore del curato, il quale la riteneva diabolica. 
Il farmacista, cui le spiegazioni del dizionario di scienze mediche l'avevano resa 
incomprensibile, sorrideva con aria sapiente e faceva lo sbadato. 
Qualche volta, per soccorrere alla intelligenza dei suoi ospiti, il signore traduceva 
l'Abrakadabra nel motto latino: ibis, redibis. 
Poi accennava ad essi di ripigliare la discussione--e in mezzo al frastuono delle voci 
mormorava fra i denti un fiat lux, che pareva il gemito di un Epulone assetato di luce. 
Abrakadabra, che non cessava di essere un enigma per tutti, era divenuto dopo alcuni 
mesi il soprannome del signore. 
 
CAPITOLO II. 
Il discorso del farmacista. 
Una sera i tre antagonisti di C... si erano infervorati più che mai nella discussione 
politica. 
Le finestre della sala erano aperte, e parecchi paesani attratti dalle grida, sporgevano dai 
parapetti le bocche spalancate. La Camera del signore aveva le sue tribune. 
Quella sera l'assemblea era completa. Il medico e i due domestici sedevano a poca 
distanza dal signore. 
Il farmacista aveva la parola: 
«--No!... colle mezze misure non si otterranno che deplorabili risultati--e fra poco le idee 
liberali dovranno soccombere, a meno che sull'apatia universale non prevalgano gli 
uomini del nostro partito. 
«I moderati sono la peste delle rivoluzioni. L'oppio è il più esiziale dei narcotici, in 
quanto esso uccida cogli allettamenti di un sopore delizioso. 
«Questa nostra società, corrotta dal despotismo, incadaverita dall'inazione e dal servaggio,
domanda rimedii eroici--fuoco, sangue, terrore. Di tal guisa si rigenerano le nazioni. 
«Tronchiamo le membra guaste, e il corpo sorgerà vivificato! Dovunque elevasi un 
campanile, si pianti una ghigliottina! I nemici del progresso sono i sicarii della umanità, 
la negazione di Dio. Esterminiamoli! La voce del popolo li ha colpiti del suo tremendo 
anatema. 
«Gli schiavi, gli oppressi, i sofferenti, sono la maggioranza. Questa maggioranza... è    
    
		
	
	
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