In chiave di baritono | Page 3

Antonio Ghislanzoni
io saliva a Grottamare superiore per recarmi al convento dei padri francescani posto sulla sommità della collina.
--Quei buoni padri, diceva il sagrestano, vi accoglieranno come un fratello. Le sante leggi dell'ospitalità, che il progresso dell'incivilimento ha cancellato dai codici e dai cuori umani, durano tuttavia nei conventi, e vi si praticano religiosamente dai monaci. Essi vi hanno destinato una buona cameretta, ove sarete alloggiato come un.... frate.
Il sole inclinava al tramonto e irradiava d'una luce rossastra le onde tranquille, su cui galleggiavano cento paranze di pescatori che a vele spiegate muovevano verso il lido. L'aria saliva freschissima verso il colle. Quell'incanto di cielo, di colline e di mare mi esaltarono la fantasia.
Giunti alla soglia del convento, il sagrestano scosse la campanella, e poco dopo una voce sonora rispose dall'interno due o tre versi latini; quindi le porte si aprirono cigolando, e un frate dall'aspetto venerabile apparve in sulla soglia. Io chinai riverente la testa; allora il sagrestano volgendosi al monaco, profferì presso a poco le parole che il nostro Manzoni pone sul labbro dell'abate nell'atto che questi presenta Lucia alla Signora di Monza:
--Questi è il giovine forestiere per cui ella si è degnata interessarsi, e per cui mi ha fatto sperare la sua protezione.
--La camera è già pronta; il signore potrà alloggiare al convento finchè gli tornerà grato.
Dopo altre parole, il sagrestano si congedò da me stringendomi cordialmente la mano. Io rimasi in sulla soglia finchè lo vide sparire all'estremità del sacrato, quindi tenni dietro al mio ospite capuccino.
Quando sentii chiudersi le porte, e intesi il rumore de' chiavistelli e delle spranghe, un brivido mi corse per le vene. Qual ragione aveva io da temere? Pure, l'oscurità dei lunghi corridoi pel quali io m'inoltrava, l'eco delle ampie navate, che cupa ripeteva il suono de' miei passi, il lento rintocco, della campana che chiamava i monaci alla chiesa e i canti severi che da quella si partivano produssero in me un invincibile senso di paura.
Ed alla paura, di mano in mano si succedevano nell'animo mio commozioni inaspettate e d'indole più serena; qualche cosa che somigliava al benessere, al desiderio di una eterna solitudine e di un profondo oblìo d'ogni cosa terrena.
Erano le nove della sera. I monaci dormivano nelle loro cellette. Mi affacciai alla finestra, e poggiati i gomiti sul davanzale, stetti non so ben quante ore assorto in deliziosa contemplazione. La frescura dell'aere, le esalazioni profumate dei cedri e degli aranci, la luna che grassa e rubiconda si specchiava nel mare, tutto mi accarezzava la fantasia di nuove seduzioni.
L'idea di vestire l'abito religioso mi assaliva ad ogni tratto. Attraversando i fertili gioghi della Toscana e della Romagna, dappertutto si erano affacciate al mio sguardo scene atrocissime, alla cui memoria la calma solenne che in quel momento mi circondava, parevami il più desiderabile d'ogni bene terreno. Poi, quale strano passaggio dalla vita dell'istrione alla vita del monaco! Che bella cosa scomparire dal mondo, essere dimenticato da tutti, non aver altro di comune col resto degli uomini che l'aria ed il sole! Svegliarsi prima dell'alba, scendere coi fratelli nella chiesicciuola; quindi uscire in sul sacrato a salutare i crepuscoli, svagarsi nel paesello, entrare aspettato e desiderato nella casuccia del colono, consolare delle sventure e raccogliere dei sorrisi; poi tornando al convento intrattenersi nella fresca biblioteca a sfogliazzare dei grandi volumi.
E la mia fantasia andava più oltre; errava di paese in paese, di città in città, ideando le più strane avventure. Mi pareva d'esser già frate... d'avere una barba lunga fino alla cintura, il cocuzzolo calvo, e una imponente protuberanza di addome. Il padre superiore mi ordina di recarmi a Milano per predicarvi la quaresima.--Giungo--attraverso le contrade--veggo gli amici, le donne a me note--nessuno mi riconosce; la barba ed il ventre mi hanno completamente trasformato.--è la prima domenica di quaresima--il popolo attende nella chiesa di S. Marco il nuovo predicatore--io comparisco sul pulpito e comincio a tuonare.... il mio sermone. All'indomani i penitenti assediano il confessionale, ed io me ne sto accovacciato fiutando tabacco e coscienze. Una donna si presenta alla grata... io la conosco...--la interrogo--essa mi rivela i segreti del suo cuore.--Nell'epoca in cui diceva d'amarmi ella accordava i suoi favori al professore di musica, e intratteneva un carteggio sentimentale col figlio del mio parrucchiere... A tal confessione, io non so reprimermi, minaccio la penitente del fuoco eterno... la fulmino colla scomunica, e attraverso la grata le faccio udire il mio nome accompagnato da uno scroscio di risa sarcastiche...

CAPITOLO III.
Padre Domenico mi sconforta dal farmi Francescano.
Mentre io andava di tal guisa fantasticando, udii picchiare sommessamente alla porta. Era un frate, vecchio, dall'occhio vivace, dal sorriso melanconico e dolce. Padre Domenico (tale era il suo nome di convento) entrò nella mia camera colla timidezza di una fanciulla o piuttosto d'un collegiale che tema essere còlto da' superiori in atto di indisciplina. Si avanzò
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