Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 1 | Page 2

Giovanni Boccaccio
passato, Dio, contra ogni umano avvedimento ne sostiene, o �� la sua pazienzia, la quale forse il nostro riconoscimento attende; il quale se a lungo andare non seguir��, niuno dubiti che la sua ira, la quale con lento passo procede alla vendetta, non ci serbi tanto pi�� grave tormento, che appieno supplisca la sua tardit��. Ma, percioch��, come che impunite ci paiono le mal fatte cose, quelle non solamente dobbiamo fuggire, ma ancora, bene operando, d'amendarle ingegnarci; conoscendo io me essere di quella medesima citt��, avvegnach�� picciola parte, della quale, considerati li meriti, la nobilt�� e la vert��, Dante Alighieri fu grandissima, e per questo, s�� come ciascun altro cittadino, a' suoi onori sia in solido obbligato; comech�� io a tanta cosa non sia sofficiente, nondimeno secondo la mia picciola facult��, quello ch'essa dovea verso lui magnificamente fare, non avendolo fatto, m'ingegner�� di far io; non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali �� oggi appo noi spenta l'usanza, n�� basterebbono a ci�� le mie forze, ma con lettere povere a tanta impresa. Di queste ho, e di queste dar��, accioch�� igualmente, e in tutto e in parte, non si possa dire fra le nazioni strane, verso cotanto poeta la sua patria essere stata ingrata. E scriver�� in istilo assai umile e leggiero, peroch�� pi�� alto nol mi presta lo 'ngegno, e nel nostro fiorentino idioma, accioch�� da quello, ch'egli us�� nella maggior parte delle sue opere, non discordi, quelle cose le quali esso di s�� onestamente tacette: cio�� la nobilt�� della sua origine, la vita, gli studi, i costumi; raccogliendo appresso in uno l'opere da lui fatte, nelle quali esso s�� s�� chiaro ha renduto a' futuri, che forse non meno tenebre che splendore gli daranno le lettere mie, come che ci�� non sia di mio intendimento n�� di volere; contento sempre, e in questo e in ciascun'altra cosa, da ciascun pi�� savio, l�� dove io difettuosamente parlassi, essere corretto. Il che accioch�� non avvenga, umilemente priego Colui che lui trasse per s�� alta scala a vedersi, come sappiamo, che al presente aiuti e guidi lo 'ngegno mio e la debole mano.

II
PATRIA E MAGGIORI DI DANTE
Fiorenza, intra l'altre citt�� italiane pi�� nobile, secondo che l'antiche istorie e la comune opinione de' presenti pare che vogliano, ebbe inizio da' romani; la quale in processo di tempo aumentata, e di popolo e di chiari uomini piena, non solamente citt��, ma potente cominci�� a ciascun circunstante ad apparere. Ma qual si fosse, o contraria fortuna o avverso cielo o li loro meriti, agli alti inizi di mutamento cagione, ci �� incerto; ma certissimo abbiamo, essa non dopo molti secoli da Attila, crudelissimo re de' vandali e generale guastatore quasi di tutta Italia, uccisi prima e dispersi tutti o la maggior parte di quegli cittadini, che ['n] quella erano o per nobilt�� di sangue o per qualunque altro stato d'alcuna fama, in cenere la ridusse e in ruine: e in cotale maniera oltre al trecentesimo anno si crede che dimorasse. Dopo il qual termine, essendo non senza cagione di Grecia il romano imperio in Gallia translatato, e alla imperiale altezza elevato Carlo magno, allora clementissimo re de' franceschi; pi�� fatiche passate, credo da divino spirito mosso, alla reedificazione della desolata citt�� lo 'mperiale animo dirizz��; e da quegli medesimi che prima conditori n'erano stati, come che in picciol cerchio di mura la riducesse, in quanto pot��, simile a Roma la fe' reedificare e abitare; raccogliendovi nondimeno dentro quelle poche reliquie, che si trovarono de' discendenti degli antichi scacciati.
Ma intra gli altri novelli abitatori, forse ordinatore della reedificazione, partitore delle abitazioni e delle strade, e datore al nuovo popolo delle leggi opportune, secondo che testimonia la fama, vi venne da Roma un nobilissimo giovane per ischiatta de' Frangiapani, e nominato da tutti Eliseo; il quale per avventura, poi ch'ebbe la principale cosa, per la quale venuto v'era, fornita, o dall'amore della citt�� nuovamente da lui ordinata, o dal piacere del sito, al quale forse vide nel futuro dovere essere il cielo favorevole, o da altra cagione che si fosse, tratto, in quella divenne perpetuo cittadino, e dietro a s�� di figliuoli e di discendenti lasci�� non picciola n�� poco laudevole schiatta: li quali, l'antico sopranome de' loro maggiori abbandonato, per sopranome presero il nome di colui che quivi loro aveva dato cominciamento, e tutti insieme si chiamar gli Elisei. De' quali di tempo in tempo, e d'uno in altro discendendo, tra gli altri nacque e visse uno cavaliere per arme e per senno ragguardevole e valoroso, il cui nome fu Cacciaguida; al quale nella sua giovanezza fu data da' suo' maggior per isposa una donzella nata degli Aldighieri di Ferrara, cos�� per bellezza e per costumi, come per nobilt�� di sangue pregiata, con la quale pi�� anni visse, e di lei gener�� pi��
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