Galatea | Page 2

Anton Giulio Barrili
mi faceva d'attorno, pari ai gomiti di quattro o cinque vicini nella calca dove ci ha ficcati il nostro mal genio, in un quarto d'ora di sciocca curiosità. E il mondo è una calca, una moltitudine, una ressa di forze invisibili, che d'ogni parte lavorano su te, per prenderti il posto che occupi, per non lasciarti occupare il posto che desideri, fosse pure un posto d'usciere. Si tira a tutto, e con la stessa arte da tutti; qualunque sia il grado, o l'educazione, è sempre guerra sorda di agguati, d'insidie, di tradimenti. Ognuno l'ha con te: più sei forte, o più ti credono tale, più si affannano a soverchiarti, a tirarti giù, a darti il gambetto. Gl'interessi che non hai offesi fischiano da tutti i pruneti, si avventano da tutte le macchie; nessun briccone è più appostato di te dagli onest'uomini in caccia. Se tu provassi a morire! oh, allora, lodato il cielo, una buona rifiatata di mille petti, che si diffonderebbe dalla tua città, come un soffio di primavera, a tutti i punti del "bello italo regno." Vivo, non avevi scritto altro che birbonate; morto te, erano tutte maravigile. Ti gabellavano per un asino? eccoti diventato un cigno; l'ultima tua ode era degna di Pindaro. Prova a morire, e vedrai; ti faranno un funerale di prima classe, e tutta una cittadinanza "dipinta di cordoglio" farà spalliera al cortèo, mentre tu, felice grand'uomo, traballerai nel tuo carro sotto una montagna di corone, che più non ebbe scudi addosso la vergine Tarpeia, in premio del Campidoglio aperto ai Sabini. Quanto a me, senti: ho già fatto testamento, e scritto in chiarissima forma: "Non voglio discorsi, nè marce funebri; nè bugie, nè stuonature. Voglio andare al mio ripostiglio di nottetempo; con due amici, se tanti me ne saranno rimasti, i quali si prenderanno cura di vigilare che le mie ossa vadano proprio al luogo assegnato, e un altro morto non mi rubi la fossa." Con questo prossimo benedetto, non si sa mai quel che possa succedere.
Idee nere, dirai. Ma io, se rammenti, le ho sempre avute. A certe cose bisogna pensarci in tempo, per non esser poi colti alla sprovveduta. Quella gran diavola della falce è così capricciosa! Già, donna anche lei; ed io non voglio esser più corbellato. Errori, ne ho commessi molti, fin troppi, cercando l'introvabile. Povere donne, del resto! Ossequiate, lusingate, insidiate, ti amano per vanità: molte, se sei ricco, sentono il bisogno di entrare nella tua casa; nessuna il desiderio di penetrare nell'anima tua. Ed è strano contrasto; perchè noi uomini, chi più chi meno, avremmo tutti la curiosità di penetrare nell'anima loro, anche a costo di non trovarci niente. Così l'amore, rinunziando al piacere dell'indagine psicologica, si riduce necessariamente ad uno scherzo, ad un grazioso errore commesso qualche volta per ardore di temperamento, più spesso per follia d'imitazione. Ah, il mondo non è più dei sensitivi. Si fanno tante cose per consuetudine, per vezzo, per moda, non ritrovandoci più il senso arcano dei loro principii; esempio l'andare in campagna, un piacere estivo, che si compra senza gustarlo, senza intenderlo, trasformandolo secondo l'uso della città. Dov'è strada piana, gli uomini portano la bicicletta; dov'è lago, il sandolino; da per tutto il lawn-tennis. In fin de' conti, meglio così; la campagna è tutta per me. Sono miei i folti castagni del bosco; miei gli olmi e i salici, i fràssini e gli ontàni del fiumo; mia la borraccina delle balze, donde si levano gli argentei pennacchi dei cardi, rilucenti ad una spera di sole.
Questa campagna è bella, quantunque senza carattere. Salvator Rosa ci perderebbe l'ispirazione tormentata e robusta, Claudio Lorenese la sua placida e larga vena poetica. Non ci sono dirupi minacciosi, non classiche aperture d'orizzonti lontani. Così niente fa pensare, tutto fa vegetare; ottima cosa per me, che non ho più fantasia. Dov'è andata a finire? Sicuramente, l'ho fatta correr troppo. L'uomo ha le sue quaranta libbre di sangue e le sue quattr'once d'ideale: se egli sa farne un uso discreto, bene; se no, addio roba. Io non iscrivo più una riga. Il mio Don Giovanni dorme. Buon poema, che voleva esprimer la vita veduta, collegandola coll'invisibile sentito! Non lo intendo più; ne rigiro per ogni verso la tela, e non ci trovo il vivagno; vedo il contorno e mi sfugge la linea, l'idea madre, che mi pareva già tanto chiara, originale e profonda. Sono una rovina, e brutta, che per le rovine è il peggio. C'è qui, sulla fine di un campo, lungo la strada maestra, una casupola ad uscio e tetto, ma coll'uscio sfondato e il tetto crollato. Corse un giorno la voce che là dentro si fosse veduta la Madonna; e non mancava la ragazzina innocente per dar fede al miracolo. Ma che vuoi? il miracolo non ha potuto attecchire, come attecchivano le ortiche, in
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