poca allo 
sdegno... ohimè, già stanca
Nella maremma s'impaluda e stagna
L'acqua morta che pullula e che manca...
Già della morte il mare mi 
guadagna. 
Tu scorri e vai, tu fiume, alto sonando,
Tra i rochi sassi nel silenzio 
vai:
Senza cercare il quando
Andiamo al fine che non manca mai. 
AD UN GENEROSO SIGNORE 
Mugge dall'ampio casolar la mandra,
Che bianco fiume a te versa di
latte,
Donde poi tragge il tuo castaldo un aureo
Fiume al palagio: 
ma ti sforzi invano
Esser contento. Oh perchè mai si adira
Coscienza quasi vergognosa e freme
Il cor, quando tu vedi a un pigro 
nume
Fumar dell'opra altrui la valle e il piano? 
Balzan veloci i tuoi cavalli al caldo
Schioccare delle ferze e corre il 
suono
De' tuoi cocchi tra i pallidi tuguri,
Ove il popol si annida, 
ultimo gregge.
Ma se dall'alto ai neri tetti il guardo
Volgi, che 
stanno come pietre al sole,
Ah delle cose il tuo pensier ravvisa
L'intimo error e la spietata legge. 
Non versa a te l'oblìo della menzogna
Il vin che invecchia nelle 
oscure celle,
Dolce vendemmia degli antichi tralci,
Che ruppe ai 
padri il tedio doloroso:
Nè al gioco cerchi o alla superflua mensa
O 
al tripudio di Venere danzante,
Come de' pari tuoi l'agile sciame,
Contro all'acerba Idea sonno e riposo. 
No, tu sei giusto. L'armonia del vero
Suona com'arpa dall'esatte corde
Nel tuo spirto magnanimo ed aperto
Al caldi venti dell'affetto. Il 
trono
Su cui ti diede di seder la sorte
Non per stolto dominio, e ben 
lo sai,
Fu a te largito o per sollazzo al volgo,
Ma sol per esser 
regalmente buono. 
Tu sai come maturi entro il suo solco
L'opra dell'uomo, che non 
dorme al rezzo:
Sai come, esempio al pigro, anzi rampogna,
Il miel 
dall'arnia che più freme fili:
Rompe il sasso la stilla e schiude il ferro
Alla marmoree ninfe il passo e il volo:
Sai come scorra, spola entro 
il traliccio,
L'umana volontà dagli aurei fili. 
Già di natura tra i più fitti arcani
Leggesti fanciulletto, allor che in 
traccia
Dei boschi andando e dei deserti monti,
T'era saggia maestra 
la formica.
Allor ti apparve l'inquieto affanno
Delle cose operanti 
ed il segreto
Della Vita, che a palmo invidia a palmo
Il campo al 
ferreo piè della Nemica.
Fu tuo dolor la stretta onde si duole
Nella viscida ragna il moscherino
E del morente grillo entro la tana
Miserasti tu placido la sorte:
Tu 
non del tuo, ma del dolore altrui
Doloroso ti muovi e guardi e temi
Non il tuo danno, ma l'ingiuria e il fato
Che all'umil giusto fa men 
giusto il forte. 
Già con medica man indi mirasti
Degli anni in sul fiorir (quando più 
scorre
Amore ai sensi rugiadoso e molle)
A far incontro al Mal 
colpi leggiadri:
Sì che l'opra si spande, e come il sole
Spazza la 
nebbia in fondo alla palude,
È luce ove tu scendi, è vita, è pace,
È 
perdono, è sorriso almo di madri. 
E a te letizia corre incontro e ride,
Se dal palagio tra gli scossi campi
Al lavor de' tuoi servi arrechi il dono
Della parola che le voglie 
esorta.
Oprar con loro anche t'è bello e senti,
Quando poi siedi co' 
tuoi figli a mensa,
Uscir dal pane un pio savor di fame
Ai denti 
ignoto della gente morta. 
IL CANTONIERE 
Col suon corrente la muta frangono
notte le ruote. Accusa il fischio
spaventevol la macchina che arriva,
che brace e fumo vomita. 
Passan sui piani, ove la candida
neve dimora, le calde macchie
del 
sangue, che dall'orbite i fanali
biechi nell'ombra versano. 
Passa ed il lento sonno e la tiepida
dolcezza rompe dei baci, o tenera
sposa, che voli al sospirato amplesso,
un bianco lume vivido, 
che getta un rapido saluto e rapido
cade nel perso aere.... Morbida
reclini in seno al tuo diletto e sogni
nella rapita immagine, 
una casetta sogni di candide
nevi coperta e un fuoco e un palpito
d'amor nella silente erma campagna
e senza fine un giubilo;
una casetta che april di glicini
circondi e irraggi il sol di fulgidi
eliotropi sull'orlo d'una verde
ombrosa solitudine! 
Stan nelle valli coi bruni vertici
al ciel le chiese; lucenti si aprono
agli ozî dei palagi l'alte porte;
le ville ai poggi ridono: 
Gridano i borghi vivi del fremito
dell'arte: Invidia agita ed Odio
le 
case sparse nel fecondo piano,
che al mio fuggir s'involano: 
Tu, guardiano, pago alla povera
capanna, al segno fisso, propizio
genio custode dei destini erranti,
ai nostri sogni vigili: 
ai nostri affanni vigili: e principi
rendi e tesori securi ai popoli,
tu la 
coscienza che giammai non dorme,
tu dell'amor un palpito. 
Passan le genti innanzi e sfuggono
come ombre labili in acqua 
tremula:
nei carri alati van gemiti e canti,
vanno le cure e tornano; 
pazze alla meta le voglie corrono,
corron sdraiate molli e trionfano
le viaggianti vanità più stolte;
tu sol, tu resti assiduo. 
Al raggio fervido del sole, al perfido
urlar del vento, ai geli, al 
piovere
dell'irte nevi, a te pur sempre eguale,
la tua bandiera 
sventoli. 
Non gloria il drappo ne l'aria sventola
(non è di sangue lordo e di 
lagrime)
non rauca stride la cornetta a segno
di morte.... Al ben 
degli uomini 
sacra d'un uomo sta la miseria,
sacro il dovere che sorge rigido
contro la fame. Ignoto ai vivi e al tempo
di te che resta?--Un numero. 
A UN VECCHIO CROCIFISSO 
O buon Gesù, che invecchi sulla croce,
Scendi, ripiglia la    
    
		
	
	
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