ho sessantasette anni,» continuava il Barbarigo, «nacqui il 2 
gennaio del 13... il dì in cui nacque Candiano. Abbiamo percorsa una 
strada medesima sino al punto ch'egli prese il largo in mare, ed io mi 
chiusi in queste quattro mura. Io lo udiva quando la bollente anima sua 
si versava quale e quant'era nelle sue parole. Nessuno può conoscere 
Candiano meglio di me.» 
«E così?» 
«E così ricordo le parole dell'illustre avo mio:--La Serenissima 
Republica ha da guardarsi specialmente dagli uomini che portano 
troppo alta la fronte e troppo confidano di sè stessi.»-- 
L'ottuagenario doge anche a questo punto fu per pronunciare alcuna 
parola in difesa di Candiano, ma non osò; qualunque atroce accusa 
poteva essere pronunciata impunemente in quel luogo. Una parola di 
scusa era sospetta, e il vecchio tacque. 
Dopo qualche tempo uno de' senatori spiegando un foglio sulla tavola: 
«L'arsenalotto Tritto,» disse, «continua a tempestarci colle sue 
suppliche: qui ce n'è una.» 
«Questo vecchio è veramente importuno.» 
«Bisognerebbe mandarlo allo spedale di San Lazzaro.» 
«Benissimo.» 
«Ma che cosa domanda?» 
«Che si costringa il giovane patrizio Attilio Gritti a passargli un'annua 
pensione.» 
«E perchè?» 
«Sapete bene che il Gritti in un momento di mal umore gettò da Rialto 
in canale il giovane figlio di Tritto che per caso rimase ucciso.» 
«Lo sappiamo, ma se fu il caso, il Gritti non ci ha a pensare; d'altronde 
è voce che sia stato a buona difesa.» 
«Dite benissimo, Barbarigo.» 
«Se mai si venisse a dare questa soddisfazione al vecchio Tritto, il 
popolaccio entrerebbe in troppa baldoria.» 
«Io so che ieri sera il vecchio si presentò all'ammiraglio.»
«Che lo accolse assai benignamente e gli diede molte speranze.» 
«Ciò vuol dire che la sua borsa ci provvederà.» 
A questo punto tutti si tacquero. 
La sessione essendo presso al suo sciogliersi, si dovevano leggere i 
processi stesi in quella sera; la qual cosa venne fatta da uno dei 
consiglieri del doge. Dopo si passò alla lettura delle sentenze di 
prigionia e di morte; in ultimo alle sottoscrizioni. 
Quando ad un orologio a campana suonarono due ore di notte, tutti si 
alzarono e uscirono l'un dopo l'altro. Accompagnato il doge ne' suoi 
appartamenti, i sedici personaggi, passando in mezzo agli alabardieri 
della Republica, discesero per quella scala così nota, sulla quale rotolò 
la testa di Maria Faliero, chiamata la scala de' Giganti, e attraversato il 
cortile usciron fuori sulla piazza. Le sedici gondole che li stavano 
aspettando presso la riva, si videro presto prendere il largo nella laguna 
e sbandarsi chi per l'una chi per l'altra parte. 
Verso mezzanotte, quasi in fondo al canale della Zueca, le finestre e i 
balconi di un palazzo riboccavano di luce. Era quello il palazzo del 
senator Barbarigo. A chi guardava stando ad una delle finestre di 
quell'edificio si presentava una delle più pittoresche scene di Venezia. 
Presso alla riva erano raffermi alcuni grossi navili che colle vele 
spiegate ed erette al cielo proiettavano ombre giganti sulle muraglie 
delle case e de' palazzi; a diverse distanze molte barche pescherecce 
che riflettevano nelle acque la fiamma alimentata sulla tolda;--come 
lucciole vaganti che or brillano del lor fuoco fatuo, ora si perdono per 
ricomparire poi tosto allo sguardo, le gondole illuminate di fanaletti 
correnti e ricorrenti a miriadi sulla vasta superficie dell'onda 
inargentata sparsamente e chiazzata dai raggi lunari. E intanto che la 
vista si deliziava della fantastica scena, canti popolari che, a seconda 
dei soffi più o men forti del vento, or giungevano distinti all'orecchio, 
ora in tuoni decrescenti andavano smorendo lontano, e suoni di sistri, di 
chiarine, di cimbali, che insieme confusi facevano echeggiar l'aria di un 
romore indistinto, ma continuo. 
Agli scaglioni di quel palazzo ingombri di gran moltitudine di 
maschere, e d'altre persone che salivano incessantemente, eran volte le 
prore di quasi tutte le gondole che solcavano il canale. Giunte vicino 
agli scaglioni vi rigurgitavano ad onde gentiluomini e gentildonne che 
entravano nel palazzo.
Alcuni della folla se ne stavano oziando intenti a quel gran concorso. 
«Stanotte pare che Venezia voglia insaccarsi intera nel palazzo del 
signor Barbarigo.» 
«È dalle tre ore di notte che le gondole han cominciato a gettar gente su 
questi scaglioni, nè pare che si vogliano rimanere.» 
«Guarda un tratto.» 
«Chi è?» 
«Chi arriva?» 
«Dà il passo presto; è l'illustrissimo signor Attilio Gritti. Dà il passo, 
che se mai lo toccassi col mio corpo, mi appoggerebbe tal nespola sulla 
testa che non mi rialzerei così presto.» 
«Lascia, ch'egli è già passato.» 
«Io non ho mai conosciuto giovane al mondo più superbo e 
presuntuoso di costui.» 
«Nè si comprende come lo sopporti la Serenissima Republica.» 
«Taci che ho veduto gironzare qui presso il Malumbra.» 
«Chi è il Malumbra?» 
«Giacchè non lo conosci fa di non averlo a conoscere mai.» 
«Il Malumbra è un onesto mercante. Io lo conosco benissimo.» 
«Ti consiglio però a condurre le cose    
    
		
	
	
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