seppellisce ai 
nostri stessi occhi ogni segno e il ricordo stesso della vergogna. È così 
di tutti! Manca solo il coraggio di dirle, certe cose! 
La figliastra. Perché quello di farle, poi, lo hanno tutti! 
Il padre. Tutti! Ma di nascosto! E perciò ci vuol più coraggio a dirle! 
Perché basta che uno le dica--è fatta!--gli s'appioppa la taccia di cinico. 
Mentre non è vero, signore: è come tutti gli altri; migliore, migliore 
anzi, perché non ha paura di scoprire col lume dell'intelligenza il rosso 
della vergogna, là, nella bestialità umana, che chiude sempre gli occhi 
per non vederlo. La donna--ecco--la donna, infatti, com'è? Ci guarda, 
aizzosa, invitante. La afferri! Appena stretta, chiude subito gli occhi. È 
il segno della sua dedizione. Il segno con cui dice all'uomo: «Accecati, 
io son cieca!». 
La figliastra. E quando non li chiude più? Quando non sente più il 
bisogno di nascondere a se stessa, chiudendo gli occhi, il rosso della
sua vergogna, e invece vede, con occhi ormai aridi e impassibili, quello 
dell'uomo, che pur senz'amore s'è accecato? Ah, che schifo, allora che 
schifo di tutte codeste complicazioni intellettuali, di tutta codesta 
filosofia che scopre la bestia e poi la vuol salvare, scusare... Non posso 
sentirlo, signore! Perché quando si è costretti a «semplificarla» la 
vita--così, bestialmente--buttando via tutto l'ingombro «umano» d'ogni 
casta aspirazione, d'ogni puro sentimento, idealità, doveri, il pudore, la 
vergogna, niente fa più sdegno e nausea di certi rimorsi: lagrime di 
coccodrillo! 
Il capocomico. Veniamo al fatto, veniamo al fatto, signori miei! Queste 
son discussioni! 
Il padre. Ecco, sissignore! Ma un fatto è come un sacco: vuoto, non si 
regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i 
sentimenti che lo han determinato. Io non potevo sapere che, morto là 
quell'uomo, e ritornati essi qua in miseria, per provvedere al 
sostentamento dei figliuoli, ella 
indicherà la Madre 
si fosse data attorno a lavorare da sarta, e che giusto fosse andata a 
prender lavoro da quella... da quella Madama Pace! 
La figliastra. Sarta fina, se lor signori lo vogliono sapere! Serve in 
apparenza le migliori signore, ma ha tutto disposto, poi, perché queste 
migliori signore servano viceversa a lei... senza pregiudizio delle altre 
così così! 
La madre. Mi crederà, signore, se le dico che non mi passò neppur 
lontanamente per il capo il sospetto che quella megera mi dava lavoro 
perché aveva adocchiato mia figlia... 
La figliastra. Povera mamma! Sa, signore, che cosa faceva quella lì, 
appena le riportavo il lavoro fatto da lei? Mi faceva notare la roba che 
aveva sciupata, dandola a cucire a mia madre; e diffalcava, diffalcava. 
Cosicché, lei capisce, pagavo io, mentre quella poverina credeva di 
sacrificarsi per me e per quei due, cucendo anche di notte la roba di
Madama Pace! 
Azione ed esclamazioni di sdegno degli Attori. 
Il capocomico (subito). E là, lei, un giorno, incontrò-- 
La figliastra (indicando il Padre).--lui, lui, sissignore! vecchio cliente! 
Vedrà che scena da rappresentare! Superba! 
Il padre. Col sopravvenire di lei, della madre-- 
La figliastra (subito, perfidamente).--quasi a tempo!-- 
Il padre (gridando).--no, a tempo, a tempo! Perché, per fortuna, la 
riconosco a tempo! E me li riporto tutti a casa, signore! Lei s'immagini, 
ora, la situazione mia e la sua, una di fronte all'altro: ella, così come la 
vede; e io che non posso più alzarle gli occhi in faccia! 
La figliastra. Buffissimo! Ma possibile, signore, pretendere da 
me--«dopo»--che me ne stessi come una signorinetta modesta, bene 
allevata e virtuosa, d'accordo con le sue maledette aspirazioni «a una 
solida sanità morale»? 
Il padre. Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, 
che ciascuno di noi--veda--si crede «uno» ma non è vero: è «tanti», 
signore, «tanti», secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: 
«uno» con questo, «uno» con quello--diversissimi! E con l'illusione, 
intanto, d'esser sempre «uno per tutti», e sempre «quest'uno» che ci 
crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! non è vero! Ce n'accorgiamo 
bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, 
restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, 
voglio dire, di non esser tutti in quell'atto, e che dunque una atroce 
ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e 
sospesi, alla gogna, per una intera esistenza, come se questa fosse 
assommata tutta in quell'atto! Ora lei intende la perfidia di questa 
ragazza? M'ha sorpreso in un luogo, in un atto, dove e come non 
doveva conoscermi, come io non potevo essere per lei; e mi vuol dare 
una realtà, quale io non potevo mai aspettarmi che dovessi assumere
per lei, in un momento fugace, vergognoso, della mia vita! Questo, 
questo, signore, io sento sopratutto. E vedrà che da questo il dramma 
acquisterà un grandissimo valore. Ma c'è poi la situazione degli altri! 
Quella sua... 
indicherà il Figlio. 
Il figlio (scrollandosi sdegnosamente). Ma lascia star    
    
		
	
	
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