Rime di Argia Sbolenfi

Argia Sbolenfi
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The Project Gutenberg EBook of Rime di Argia Sbolenfi, by Argia Sbolenfi
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Title: Rime di Argia Sbolenfi
con prefazione di Lorenzo Stecchetti
Author: Argia Sbolenfi
Commentator: Lorenzo Stecchetti
Release Date: February 24, 2006 [EBook #17847]
Language: Italian
Character set encoding: ISO-8859-1
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RIME?DI?ARGIA SBOLENFI
CON?PREFAZIONE
DI?LORENZO STECCHETTI
QUARTA EDIZIONE
BOLOGNA?PREMIATO STABILIMENTO TIPOGRAFICO?SUCCESSORI MONTI?EDITORI
MDCCCXCIX
L'EDITORE?ADEMPIUTI I DOVERI?ESERCITER�� I DIRITTI SANCITI DALLE LEGGI
PREFAZIONE
Ecco un libro sbagliato.
E poich�� una cortese ma assidua insistenza durata oramai tre anni, riusc�� pure a levarmi di sotto questa prefazione che non scrissi volontieri, cos��, per patto espresso, mi serbai il diritto di dire l'animo mio tutto intero e lo dico.
? * *
Ai lettori (se il libro ne avr��, che non li merita) riuscir�� difficile capire come diavolo possa esser nata una insanit�� simile a questa; ed ecco, per quel ch'io so, come avvenne.
Vegetava in Bologna, e pu�� darsi che vi agonizzi ancora, un foglietto di carta stampata venduto una volta la settimana ai cittadini che non sanno come sciupare il tempo. S'intitolava ?_�� permesso?..._? e non poteva uscire dalla breve cerchia delle mura poich�� mordeva solo gli uomini che dentro alle mura hanno fama, uffici o difetti. Perci�� era scritto o in dialetto o in italiano cos�� fitto d'idiotismi da parere un peggiorativo del dialetto. Lo dirigeva un certo Cesare Dallanoce, al cui cognome botanico s'era appiccata l'aggiunta di Moscata; giovane nottambulo, di qualche spirito, con un fisico di cercopiteco peggiorato, sotto al quale stavano mescolati l'odio e la bont�� in un connubio stravagante. Anzi l'odio era uno e le bont�� parecchie; e segno dell'odio cieco, furibondo, indomabile era il Presidente di questa Deputazione Provinciale che non gli aveva mai fatto niente; anzi non gli badava nemmeno. Ma il Moscata era fatto cosi e se la sua bestia nera avesse fatto pi�� miracoli che non S. Antonio di Padova, gli avrebbe tolti i meriti ad uno ad uno, mordendolo e lacerandolo tutti i sabati nel suo foglio di carta.
Tolto questo brutto difetto, che doveva esser vizio di natura incurabile, era buon diavolo e tutti gli volevano bene. Prestava volentieri s�� stesso e il giornale per opere di beneficenza, non diceva troppo male del prossimo suo, insomma era simpatico a molti ed odiato da nessuno.
Aveva avuto la fortuna, fin da principio, di contare tra i?collaboratori ?El sgner Pirein? il signor Pierino, il cui nome ed il cui tipo non saranno dimenticati cos�� presto dai bolognesi.
Antonio Fiacchi, bravo e buon giovane di brillante ingegno, aveva trovato questo esilarantissimo tipo del vecchio petroniano col cappello bianco a cilindro l'estate, il tabarrino a pipistrello l'inverno e le scarpe di panno tutta l'annata; il vecchietto brontolone, credenzone, ricordatore inesausto dei tempi passati, detrattore dei presenti, ma in fondo ingenuo sino alla balordaggine. In un altro di questi giornaletti municipali aveva fatto le prime armi, in un dialetto italianizzato che accresceva comicit�� al contenuto di certe lettere che non possono ricordarsi tuttora senza ridere. Il tipo aveva fatto fortuna ed era quasi assunto alla dignit�� di maschera cittadina come il dottor Balanzone; cosicch�� in certe feste carnovalesche, in un villaggio di legno e di cartone che serviva da fiera, il signor Pierino fu fatto sindaco e sciorin�� proclami ed allocuzioni da non dire. Ma il Fiacchi fu chiamato a Roma e il signor Pierino tacque.
Il Moscata che aveva buon fiuto, lo cerc�� pel suo giornaletto, ma il Fiacchi rispondeva a buona ragione che, fuori dell'ambiente bolognese, si sentiva disorientato e che temeva di non far nulla di?buono. Moscata insist�� e si venne a questo che il signor Pierino Sbolenfi avrebbe scritto come corrispondente dalla capitale; e cos�� fu.
Allora il bel tipo ideato dal Fiacchi rivisse in una serie di lettere datate ?dalle rive del Colosseo? che fecero la fortuna del giornale. L'egregio signor Sbolenfi aveva ingrandito l'allegro campo dell'arte sua ed oltre alle amene confidenze delle sue tribolazioni famigliari, ci dava le impressioni romane ricamate sulla tela delle proprie avventure. E lo vedemmo uscire di non so qual Ministero, autocandidato al tempo delle elezioni Giolitti, perdere l'impiego e cercarne un altro per perderlo di nuovo. Lo vedemmo custode dei tempietti municipali sacri alla Dea Cloacina abbandonarsi a meste riflessioni sulle miserie umane ed a giudizi comparativi argutissimi sul giornalismo contemporaneo in relazione ai riti celebrati nel suo tempietto. Ma poich�� le autorit�� municipali nel tempo del col��ra avevano segretamente ordinato a lui ed ai colleghi una sorveglianza intima sulla condotta dei cittadini ed egli aveva propalato la cosa nel giornale, eccolo di nuovo senza impiego
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