notte intera dopo questo discorso? 
Avrei dato un occhio della testa, dopo aver detto di sì, per liberarmi 
dell'invito; ma avrei dato l'altro per il gusto d'andarci. La vita senza 
occhi adesso mi pareva meno buia della vita senza Paolina. 
Pensai subito a qualche bel regalo, che non offendesse la malinconia 
del suo stato e nello stesso tempo contentasse il suo cuore. E finii collo 
scegliere un bel manicotto di martoro scuro col suo bravo boa 
compagno. Inutile dire che al panettone, al vin bianco, al bambino di 
Letizia; al regalo per la servetta ho pensato io come si faceva per il 
passato, quantunque Paolina protestasse e si dichiarasse 
mortificata.--Mortificata di che? bel capitale, cara lei... così potessi
renderla tutta felice.... E mentre parlavo, ero in continua paura di dir 
troppo e di dire troppo poco, di espormi troppo, di fare una cattiva 
figura, o di farmi compatire. 
Per finirla, venne anche quel benedetto giorno! Per un pezzo sperai che 
avrebbe invitato con me anche qualche suo parente o qualche parente 
del povero Battista: ma subito, dopo ebbi una strana paura 
d'incontrarmi con estranei. All'ultimo momento, se mi fossi sentito 
male, avrei mandato volentieri un biglietto di scusa, o forse non l'avrei 
mandato; forse ci sarei andato anche colla febbre, in punto di morte. 
L'amore alla nostra età è una febbre pericolosa, credete a me, e non c'è 
che un rimedio; lasciarla passare o morirci dentro. 
* * * 
Siamo al gran giorno. 
Paolina in un vestito nero di lutto, semplicissimo, quasi senza pieghe 
(se li faceva lei col suo buon gusto) mi ricevette cordialmente nel 
salottino, quantunque a trovarsi con me in quel medesimo luogo, 
davanti a quel medesimo caminetto, dove l'anno primo il suo Battista 
s'era mostrato tanto allegro, le facesse un certo senso di pena. Per un 
po' lottò contro la ricordanza, cercò di ringraziarmi dei regali, anzi mi 
rimproverò perchè eran troppo belli... non stava bene.... mi fece sedere 
davanti al caminetto, s'inginocchiò a ravvivare il fuoco, ma il dolore fu 
più forte del coraggio e scoppiò in un tal pianto, poverina, che io mi 
alzai, aprii la bocca, alzai una mano, e stetti lì incapace, come un merlo, 
a guardarmi nello specchio, sopra le gambe che tremavano, tremavano, 
Gesù d'amor acceso! Vi ho detto che non posso veder le donne a 
piangere e questa non era nemmeno una donna come tutte le altre. 
Lasciai passare un bel momento e quando mi parve che lo strazio del 
suo cuore cominciasse a cedere:--Senta--le dissi--senta, sora Paolina, 
non faccia così. Lei ha ragione, ma pensi che il suo Battista è andato 
fuori dei fastidi del mondo e che lei deve vivere per la sua Letizia. 
Sicuro, povero rattino! fu una grande disgrazia, ma si volti indietro a 
guardare certe miserie. A lei e alla sua figliuola non manca nulla. Io 
sono un ignorante, un vero Gerolamo al suo confronto, ma nel mio
piccolo le ho dato più d'una prova che se per caso quella piccina fosse 
mia, non potrei volerle più bene. Non è per consigliarla, creda. In suo 
paragone io non sono che un povero negoziante di ombrelle, che dovrei 
nascondermi sotto un mucchio di cenere, ma la gente si misura dal 
cuore e in questo cuore, cara Paolina, se lei potesse leggere, c'è qualche 
cosa che i re sempre non hanno. 
Dunque, adesso non pianga più; si asciughi gli occhi, benedetta, o finirà 
col farmi piangere anche me, che è fin una cosa ridicola... 
E che cosa dissi ancora? non so più. Strozzato da quel gnocco che vi ho 
detto, col cuore rovesciato, la testa in un fuoco, vedendo che non 
potevo sfuggire a una cattiva figura, girai sui talloni e fingendo di 
andare a cercare qualche cosa in anticamera, aprii l'uscio. 
Ma proprio sulla soglia m'imbattei nella piccina, che veniva in braccio 
alla balietta. Era vestita di bianco, tranne un brutto nastro di lutto in 
vita e piccole fettuccie nere sulle spalle; ma su quel bianco e su quel 
nero spiccava la testolina d'angioletto coi riccioli d'oro. La bocca era 
una fragoletta da succhiare coi baci. 
--Chi è? chi è? chi è?--presi a dire con furia, colla voce affogata nei 
singhiozzi, mentre colla mano scendevo a cercare nella tasca di dietro 
un arlecchino rosso coi campanelli. 
--Chi è questa signorina?--E lei mi guardava cogli occhi larghi e curiosi 
come fanno tutti i bambini. 
--Chi è? chi è?--venne a domandare anche lei, la mammina, colla voce 
meno scossa, dentro la quale si sentiva ancora il tremito del pianto. 
--Chi è?--soggiunse la balietta, portando la bimba più sotto la lucerna e 
indicando me col dito. 
Letizia, mentre io pescavo l'arlecchino nella tasca di dietro, seguitò a 
guardarmi cogli occhioni neri, corrugò un poco la fossetta del mento, 
per uno sforzo interiore e, alzando in furia le manine, mandò fuori    
    
		
	
	
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