anzidetta.
Quel giardino era sempre stato argomento d'invidia pel nostro botanico.
Ogni mattina, dopo aver curato i suoi fiori, egli andava a sedersi sul
ciglio del muraglione, e contemplava quell'orto delle Esperidi.
Misurava la vastità di quel terreno coltivato, così difficile a trovarsi nel
centro della città, paragonandola coi pochi metri del suo giardino
pensile, e stava guardando lunga pezza, con fanciullesca attenzione, i
lavori di quel beato giardiniere che aveva spazio così largo da albergare
tanta varietà di magnifiche piante della flora dei tropici.
Il luogo dove il nostro botanico andava a sedersi, era presso un olmo di
smisurata altezza, appartenente al giardino inferiore, ed ultimo avanzo
di un lungo viale che era stato disfatto, per cedere il campo alla prateria.
Quel malinconico superstite di una rigogliosa dozzina di olmi,
sacrificati alla moda britannica, saliva co' suoi rami più su del giardino
pensile di Laurenti. Il muraglione, per tutto quel tratto, era coperto di
edera, e i lettori già capiscono che cosa ne avvenne; che cioè l'edera,
come una donna innamorata, aveva un bel giorno gettate le sue braccia
al collo, vo' dire al tronco, dell'albero maestoso. Amplessi tenaci, che si
ripeterono in breve su per i rami, producendo tra l'albero e il muro una
sequela di pittoreschi festoni e una lieta figliolanza di neri corimbi.
Marito e moglie, era una vaghezza a vederli. Non curante della
proprietà altrui, smesso perfino quel ritegno naturale che vieta alla
donna di fare il primo passo, l'edera s'era maritata, e Dio misericordioso
aveva benedette le nozze. I rispettivi proprietarii, che non s'erano
accorti degli amoreggiamenti, non si vollero riscaldare il sangue
quando il pateracchio fu fatto, e la prescrizione passata. Poi, la
consuetudine di vederli uniti (e vi so dir io che facevano assai miglior
figura di certi matrimonii) fu tale, che allorquando il proprietario di
sotto fu per atterrare i due filari di olmi del suo viale all'antica, non gli
diè l'animo di far mettere la scure sull'ultimo albero, e di vedovare
quella tenera, quantunque assai nodosa, consorte.
Per amore di verità debbo dirvi che egli non ci si piegò tutto ad un
tratto, e stette anzi in forse per qualche dì. Ma finalmente vinse la pietà,
e, più ancora che la pietà, il pensare che in fin de' conti quell'olmo era
l'ultimo del viale, che era molto accosto al muraglione, e in quella che
sarebbe rimasto come una rarità, non avrebbe fatto impedimento, nè
sconcio.
IV.
Colà dunque, sul ciglio del muraglione, dov'era anche un sedile di
pietra addossato al murello, andava a sedersi Laurenti, nell'ora in cui il
giardiniere di sotto girava attorno alle sue piante e le ripuliva dai
pericolosi baci della rugiada, con larghi spruzzi d'acqua del suo
anaffiatoio, innanzi la levata del sole.
Il vedersi ogni mattina, l'uno giù e l'altro su, aveva recato una certa
dimestichezza tra Guido e il giardiniere. L'uno signore, l'altro
bracciante, s'erano indovinati i medesimi affetti nelle medesime
occupazioni; ma non avevano impreso ancora a discorrere insieme. Il
giardiniere, quando giungeva col suo anaffiatoio e col suo sarchiello
fino alle ultime aiuole, nel vicinato dell'olmo, alzava il naso verso il
sommo del muraglione, donde gli sorrideva il viso biondo del giovine
signore, rischiarato dai primi raggi del sole, e metteva la mano al
cappello. Laurenti rispondeva al saluto con un grazioso cenno della
mano o del capo, e la conversazione era finita.
Egli per tal modo non aveva mai chiesto di chi fosse la villa; il caso
non l'aveva mai condotto a udire il nome del padrone, e, non
affacciandosi colà che di buon mattino, mai berretta di velluto ricamata
d'oro, mai veste serica tra i meandri fioriti, mai corsa chiassosa di
allegri fanciulli sul prato, aveva rivelato a Guido Laurenti gli abitatori
di quella palazzina gialla, il cui tetto rilevato a quattro acque sbucava,
là in fondo, da una selva di magnolie e di allori.
Ma un giorno (ripiglio finalmente il mio ma e il mio giorno) Laurenti
ruppe la consuetudine, e andò nel pomeriggio a sedersi presso la sua
edera e presso l'olmo dei vicini.
Mai giorno di primavera era stato così serenamente bello; mai raggio
più tiepido di sole aveva svolte per l'aria, in sottilissime vaporazioni, le
fragranze dei fiori. Bei giorni, momenti beati, nei quali l'uomo,
penetrato da quei raggi di sole, rallegrato da quelle fragranze, si sente
vivere con voluttà, dimenticando un tratto la grave molestia dell'esser
nato!
Guido aveva un libro tra mani, l'Eneide di Virgilio; un libro di scuola,
che aveva tradotto da capo a fondo sulle panche di prima Umanità, e
che però non avea più da leggere per amor di novità, ma che amava pur
di leggicchiare a spizzico, nelle ore di ricreazione. E già, sostenuta
insieme con Enea quella brutta burrasca suscitata dal consiglio di
Giunone, egli aveva dato fondo nella rada

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