Le tre valli della Sicilia | Page 2

Gaetano Sangiorgio
resto. A voi intanto penserò io stesso.
--Capitano... accettate i miei servigi...
--Ora e sempre... n'è vero Buscemo?
L'iniquo rabbrividì, ed alzò gli sguardi in viso al gendarme. Ma questo, immobile, tenne fissi i suoi negli occhi di lui, nel mentre un sorriso gelato e sprezzante gli errò sulle labbra ghiacciando il sangue in cuore al delatore.
Stampace, avvilito e tremante, volse le spalle all'uffiziale e s'allontanò.
Fuoco frattanto, spesseggiando i passi e sempre pensando al fatale destino, arrivò. Giunto innanzi all'umile dimora di Bino, pose piede nel piccolo atrio, e stava per proceder oltre allorchè lo stesso ospite apparve. Si riconobbero tosto, e gettatisi l'un nelle braccia dell'altro, quasichè si fossero già confidati paure e segreti, sclamarono insieme:--Povero Fuoco!--Povero Bino!
Fuoco trasse dal giustacuore lo scritto di Pardo e lo presentò all'amico, ma Bino senza nemmen leggerlo strinse con fratellevole violenza la mano del giovane e disse:
--Lo so Fuoco. Tutto è scoperto, e or appunto mi porrò in salvo.
--Sapete tutto?...
--Tutto, tutto. Seguimi; piglieremo i sentieri di monte Ficazzo, e prima di notte caleremo per la china di Vallelunga.
--E come passare inosservati nel borgo?
--Non temere, Fuoco mio. Abbiamo un amico anco fra i gendarmi. Ci vedesse, alzerebbe gli occhi e piglierebbe altra via.
--Allora, o Bino, partiamo.
--Eccomi!
Ridiscesero la gran via, e giunti sul piazzale del convento viddero che già era aperto il mercato e molte guardie tenevano l'ordine. Sorpresi e dubitosi si nascosero fra l'ombre delle ultime arcate del portico e di là gettarono uno sguardo lungo ed ardente sulla bella scena che lor davanti si spiegava. Era un va e vieni bizzarro e multiforme; bovari, mulattieri, pecorai, cantastorie, montanine, merciaiuoli, girandoli, uomini e donne d'ogni aspetto e d'ogni colore, si mescevano, si confondevano, si salutavano, partivano, arrivavano; era un susurrìo vago e indistinto, un bisbiglio or alto or fioco, ma continuo; attraente spettacolo, che avrebbe messo il riso sulle labbra e a Nino e a Fuoco, se contrari affetti non tempestavan nel cuore. Pur con indicibile commozione mirarono quel largo lor noto, quella stretta per la quale sovente eran passati, quella gradinata bianca e maestosa, quel portico sotto cui spesso all'imperversar della pioggia riparavano, quell'ampiezza di cielo che s'apriva nell'alto, quelle brune montagne che chiudevano tutt'intorno l'orizzonte!
--Su, su, Fuoco. Usciamo dal portico e pigliamo il viale... questi sollazzi non son più per noi... a che dunque invidiarli?
--Dite bene, Bino. Più a lungo restiam qui maggior doglia ne avremo.
--Seguimi!
E i due fuggitivi a passi concitati partirono.
Se non che un lontano e vago rumore, il quale accresceva e s'avvicinava soffermolli. A guisa della bufera, che sbucando dai monti, segnala il suo arrivo col cupo rimbombo dei tuoni ripetuti e ripercossi dagli echi prolungati e rischiara le tenebre addensate col guizzo replicato dei lampi, quel rumore andava vieppiù aumentando, s'allargava, si faceva distinto e vivo, e qui e là interrotto da spari improvvisi ricordava le sommosse di popolo inferocito ed assetato di sangue. Un urlo di trionfo d'un tratto scoppiò, e poco dopo il cozzo incomposto dell'armi colpì chiaro e sonoro le orecchie di Fuoco e Bino. E nell'istante medesimo Cletto di Villalba sbucava dal viale al grido di: Viva la patria!
III.
Allora appunto Pardo abbandonava Sutera. Abbigliato da viaggio, colla fedel carabina ad armacollo, col valigiotto sospeso qual zaino alle spalle, egli ai primi albori uscì dalla casa e per via rimota raggiunse il fiume. Ed allorchè si fu messo sul sentiero che lo costeggia voltosi alla giovin donna che lo seguiva, così abbracciandola singhiozzò:
--Ritorna al paese Iza ed abbi cura della vecchia Rosalia. Non guardarmi sì mesta... mi fai piangere.... suvvia, cara, lasciami. Fra non molto rivedrò questi monti... ed allora, oh sì, Iza, grande, assai grande, sarà la mia gioia nel baciarti! Vattene, riedi a Sutera.
--Oh Pardo!... le lagrime mi fanno intoppo... qui... Oh, addio, ritorna presto... e dovunque ti celi ricordati della sposa...
--Oh Iza, e come potrei scordarti?
--Pardo, Pardo, addio!
--Iza, Iza, addio, addio!
E fatti muti dal dolore, i giovani sposi si baciarono ancora una volta, mestamente sorrisero, e quasi di fuga s'allontanarono.
Pardo la seguì coll'occhio sino a che fu scomparsa su per l'erta della montagna, e dato uno sguardo lagrimoso alla sua terra diletta, a quella povera valle in cui suo padre, la madre sua, un amato fratello eran morti, e che ospitava bella e solinga la pura sua Iza, affrettò i passi e colla tempesta nel cuore scese sino al pian d'Aragona, e sempre costeggiando il Platani si diresse alla volta di Felice. Il fiume gonfiato dagli acquazzoni che pochi dì avanti avevano fradicie le vette di Casteltermini e Prizzi, rumoreggiava spumeggiante e rotto fra i massi e le frane, e quel sordo e cupo muggito dell'onde impetuose accresceva d'assai la tristezza del fuggiasco e gli metteva in cuore la rabbia della sventura. Pardo fissava con occhi paurosi il precipizio che s'apriva a lui daccanto, e neppur la bella e lussureggiante vaghezza dei pendii che
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