e non si mosse.
Oh! qual tristezza in quello sguardo spento!
Quanta miseria 
nell'aspetto affranto!
Quanta eloquenza in quelle rughe, e quanto
Dolore in quella bocca senz'accento! 
Vi si leggevan vergognose doglie,
E forse--orrende malcelate 
impronte
D'anni passati tra rimorsi ed onte--
Ebrezze trangugiate e 
morte voglie. 
Nella moderna ed acre poesia
Di quella strada pazza e fragorosa,
Quale contrasto nella orribìl prosa
Del misero che soffre e non desìa! 
Tra la lotta malsana dei piaceri,
In quella gara delle immonde brame,
Null'altro egli sentiva che la fame
E non avea ne sensi nè pensieri. 
Gli diedi una moneta e domandai
Più con lo sguardo assai che con un 
motto
Come si fosse in tal stato ridotto,
Per qual sequela di sventure 
e guai. 
Allor la sua pupilla ebbe un bagliore,
Crollò il capo scotendo il 
bianco crine,
E con la rauca voce disse alfine
Una parola sola: 
«Amore, amore...» 
IX. 
GLI AMORI 
* 
O felice la Grecia! Sensüale
E puro insieme per la forma pura
Vi 
librava l'amor le rapid'ale.
Ignorando i tormenti e la paura. 
O sereno l'amor che ingenuo assale,
Che Orazio canta in seno alla 
natura,
Scandendo il verso dolce ed immortale
E bevendo il falerno 
fuori mura! 
Il cielo sorrideva e il lieto sole
Irradïava la beltà pagana,
E musica
sembravan le parole. 
Là nel bosco s'udia passar Dïana...
E Afrodite che regna dove vuole
Era indulgente per la stirpe umana. 
0. * 
E nella ferrea età medioevale
Dalle barbare pugne e dai portenti,
Tra i fati avversi ed i furor cruenti,
Crescea pallido il fior dell'ideale. 
Sostenea ne' perigli e negli stenti
Il giovin paggio una cura immortale;
Ei tenea chiusa nel cuore leale
La bella fede de' suoi dì ridenti. 
Un sorriso bastava. Egli moriva
Per la divisa sovra il brando scritta,
--O se tornava alla natìa sua riva 
Per più non ritrovar la derelitta,
Il vecchio cavaliero ancor sen giva
Con la corazza da uno stral trafitta. 
 . * * 
Poi divenne l'amor falso, elegante,
Al dolore ribelle e insiem crudele;
E se restava un core ancor fedele
Pareva in uggia al secolo 
incostante. 
Il convento s'apriva a qualche amante
Sconsolata, e chiudevasi.--E le 
vele
Verso Citera vôlte al suono de le
Vïole seguitava il trionfante 
Tragitto il bel navilio pien di suoni,
Dai cordami di seta rispondenti
Come corde di cetra alle canzoni. 
Le donne artificiose e sorridenti
Scordavano le labili passioni
Col 
core pronto ai capricciosi eventi. 
 
Nella vita moderna comprendiamo
La storia tutta degli amor passati.
--Dal dì che ingenuamente il motto: t'amo
Diciam, la prima volta 
innamorati,
Non sentiam solo in noi l'antico Adamo,
Ma insieme al suo l'amor di 
tutti i vati,
Il desir forte ed il languire gramo
Del mesto cor, dei 
sensi inacerbati. 
Nell'estasi più pura che levarne
Può fino al cielo, pur sentiamo invisa
La colpevol memoria della carne: 
Nel loto ove sguazziamo in bassa guisa
Un pensiero risorge a 
tormentarne,
E sogniam d'Abelardo e d'Eloisa. 
X. 
UNA VOCE 
* 
Era deserto il vasto cimitero,
Nella pace suprema silenzioso;
Qua e 
là pel verde prato, maestoso
S'alzava un monumento alto e severo. 
E tra una fila di cipressi tristi
Stavan gli umili avelli al par sacrati;
Molti che qui passarono obliati
Alfin dormivan là cheti e non visti. 
Pendean dal tempo scolorite e storte
Le antiche croci in legno 
nero--rotte
E infracidile ognor dalle dirotte
Pioggie inondanti il 
campo della morte. 
Qualcuna si vedea su cui d'affetto
Ultimo pegno stava ancor posata
Una ghirlanda misera e sfiorata
Che la mestizia ne risveglia in petto. 
Coperte di mal erbe e insiem d'oblio
Altre vedeansi ove taceano i lai:
Stavano là da niun compiante mai,
Con le due nere braccia aperte a 
Dio. 
E nel vento spirante intesi voce
Lugùbre e fioca da una tomba uscita:
Era suon che venìa dall'altra vita:
Mi piegai per udir sovra la croce.
--«O voi felici cui riscalda il sole!...
Dimmi, mortal, che fate ancor tra 
i vivi?
O voi che avete il cielo, il mare, i rivi,
La terra, i fior, le 
piante, e le parole, 
«Sospirate? Piangete ancor? Sperate?
Che fate là? V'amate ognor? 
Gioite?
Ancor chiedete al tempo le infinite
Gioie fuggenti già in 
dolor mutate? 
«Ai raggi incantatori della luna
Sentite ancor le bramosìe nascose?
Sonvi le selve ancor? Sonvi le rose
Ch'esalano l'amore ad una ad una? 
«Ti parlo qui, mortal, dall'altra riva,
Dalla riva ove il vero è senza 
velo.
Mi appar chiara la terra e aperto il cielo,
Benchè giaccia 
quaggiù di luce priva. 
«Son qui da sola, in questo avel, gelata
Ultima stanza ove s'attende 
Iddio,
--Verrà l'anime a scioglier dall'oblìo
Dell'angelo divino la 
chiamata? 
«Ma fino allora, oh! quanto è questa cella
Gelido albergo per il corpo 
stanco!
--Rigida sta nel suo lenzuolo bianco
Colei che un giorno fu 
chiamata bella.» 
0. * 
Gorgheggiavano intanto gli augelletti
Smentendo tutte le tristezze 
umane.
Splendeva il sol sulle iscrizioni vane,
Sui nomi già 
scordati--o benedetti. 
Mormoravan le piante all'aura estiva,
E volsi il guardo al calmo 
firmamento,
Limpido come il ver, pien di contento,
Eterno sulla 
vita fuggitiva. 
E dissi allor: Sognai. La tomba tace.
La tomba è vuota. In tutto il 
cimitero
Compie natura il suo vital mistero;
Sorgono fiori dal terren 
ferace.
È lieto il cimiter, natura è lieta,
Il dolore è nell'uomo e nella vita.
Il 
resto è pien della gioia infinita,
Della gioia immortale a noi segreta, 
O voce ch'io credeva udir dal suolo
Sorger vêr me con un    
    
		
	
	
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