mie nuove tele: aveva risalutate le 
antiche con lo stesso vergine entusiasmo d'una volta. 
Ciò m'aveva intenerito, sollevato e abbattuto ad un tempo, 
persuadendomi che il cuore di mio fratello era immutato per me, e che 
quella profonda alterazione avvenuta nel suo spirito doveva avere una 
troppo seria e dolorosa ragione. 
Io avrei dato tutto quanto possedevo per poter penetrare in fondo alla 
cara anima chiusa, e scoprire e toccare con mano la gran piaga che vi 
doveva essere aperta; e medicarla.--Senza posa io mi affaticava intorno 
alla scorza di quel duro enigma. Spiavo ogni atteggiamento, ogni moto 
del desolato; e da ogni parola sua mi studiavo di trarre un qualche 
senso riposto, quasi un filo da afferrare che mi guidasse per entro il 
laberinto.
Ma come un cieco brancolavo nel buio, vanamente, disperatamente. 
Il primo sospetto che mi s'affacciava era ch'egli soggiacesse a uno di 
quei fieri scoramenti che spesso assalgono l'artista a mezza via; lo 
colpiscono al cuore, lo stramazzano al suolo, e ve lo lasciano esangue, 
quasi esanime. Qualche volta il colpo è tale che il misero, dibattendosi 
in una tragica agonia, soccombe. Altre volte, raccogliendo in un 
supremo atto di volontà le sue povere forze, egli riesce a rialzarsi e a 
proseguir sorridente il cammino. Ma sempre una riga di sangue rimane 
a segnarne la traccia.... 
In verità, da quando s'era incominciato a rabbuiare, mio fratello non 
m'aveva parlato più mai della sua arte, nè dei suoi studi, nè de' suoi 
progetti. 
Non aveva più mai presa l'iniziativa d'una di quelle violenti discussioni 
o letterarie o artistiche o filosofiche ch'egli soleva ricercare avidamente, 
e nelle quali metteva tanto impeto, tanta gagliardia di passione, e tanta 
voluttà.--Quando io m'era attentato di chiedergli cosa stesse 
architettando di bello, m'aveva risposto: 
--Sonnecchio!--con un sorriso senza luce che mi aveva stretto il cuore. 
Eppure come mai? Come crederlo disanimato proprio allora che l'Arte 
gli offriva tutte le sue rose sorridendo, e il successo lo innalzava agli 
occhi del mondo e gli spianava la via?--Incontro al Sole, l'ultimo suo 
romanzo, non era stato acclamato dalla critica italiana come la più 
originale e forte opera letteraria dell'ultimo decennio? E un gran 
giornale francese non aveva testè chiesto per le proprie appendici 
Cristiana, la novella ch'egli aveva stampata otto anni prima da un 
oscuro editore, mentre, incerto ancora, tentava i primi passi? 
Evidentemente adunque io era fuori di carreggiata! 
E mi toccava rifarmi da capo.--E immaginavo una passione d'amore: 
una di quelle passioni che investono come un fulmine una esistenza, e 
l'incendiano e la riducono in cenere. Oppure una di quelle passioni che 
s'infiltrano lentamente nell'anima come un veleno, a goccia a goccia; e
la scavano, la rodono, la consumano nell'oscurità e nel silenzio. 
Ma la mia povera testa qui si smarriva. I ferri aguzzi delle mie indagini 
si esercitavan nel vuoto.--Poichè il più fitto velo circondava la vita 
intima di Pietro; e i pochi fatti esteriori emergenti a' miei occhi e che, 
logicamente coordinati, avrebbero dovuto sprizzare una luce 
improvvisa gettandola per entro alle cavità del segreto, erano di per sè 
altrettanti enigmi i quali concorrevano ad esacerbare lo stato 
d'incertezza in cui io viveva sospeso e mi dibatteva. 
Egli aveva incominciato con lo spezzare l'antica consuetudine delle 
concordi passeggiate notturne,--uscendo dopo cena da solo, e 
scendendo giù al paese, invece di seguitar per lo stradone, come un 
tempo, la dilettosa salita. 
Qualche volta anche era rientrato a notte molto inoltrata. 
Io l'avevo aspettato sotto il mandorlo, immobile, ascoltando i lievi 
murmuri della vallicella nel silenzio, e osservando i giuochi di luce e 
d'ombra della luna tra le piante, che rischiarava come un sole il 
giardino e il terrazzo, dall'alto del suo azzurro. 
Al giungere di lui avevo finto di risvegliarmi improvvisamente, quas'io 
mi fossi dimenticato là sul sedile, sorpresovi dal sonno. M'ero levato, e 
gli ero andato incontro fregandomi gli occhi. 
«Ancora qui?» m'aveva detto lui. E nulla lo aveva tradito: nè il tono 
della frase, nè uno sguardo, nè un gesto. 
In sèguito, a settembre, aveva fatto una gita a Napoli, a 
rivedere--m'aveva detto--alcuni amici della prima giovinezza.--Io 
l'avevo accompagnato a Genova; ero salito con lui sul vapore, e v'ero 
rimasto fino alla partenza, sperando sempre di potermi decidere a 
muovergli quell'unica domanda che mi premeva il cuore come un 
macigno. Ma all'ultimo momento m'era mancata la forza. Ero disceso 
nella lancia con un nodo nella gola, ed ero rimasto là ritto, a sventolar il 
fazzoletto, mentre il vapore tra le lagrime fuggiva.
Una sola volta dopo d'allora m'ero creduto di poterlo riabbracciare 
guarito. Ed era stato quando da Genova m'aveva scritto una lettera di 
fuoco per narrarmi tutta la fascinatrice bellezza d'una Idea di Umanità e 
di Giustizia che gli si era improvvisamente rivelata; e le maravigliose 
visioni che da lei discendevano, e i sovrumani ardori di battaglia 
ch'essa gl'infondeva nel sangue.    
    
		
	
	
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