all'altro e mi consideravo poco atto ad una grande 
attività con tutta quella nicotina in corpo. 
Dapprima avevamo pensato di andare in Isvizzera, il paese classico delle case di salute, 
ma poi apprendemmo che a Trieste v'era un certo dottor Muli che vi aveva aperto uno 
stabilimento. Incaricai mia moglie di recarsi da lui, ed egli le offerse di mettere a mia 
disposizione un appartamentino chiuso nel quale sarei stato sorvegliato da un'infermiera 
coadiuvata anche da altre persone. Parlandomene mia moglie ora sorrideva ed ora 
clamorosamente rideva. La divertiva l'idea di farmi rinchiudere ed io di cuore ne ridevo 
con lei. Era la prima volta ch'essa s'associava a me nei miei tentativi di curarmi. Fino 
allora ella non aveva mai presa la mia malattia sul serio e diceva che il fumo non era altro 
che un modo un po' strano e non troppo noioso di vivere. Io credo ch'essa fosse stata 
sorpresa gradevolmente dopo di avermi sposato di non sentirmi mai rimpiangere la mia 
libertà, occupato com'ero a rimpiangere altre cose. 
Andammo alla casa di salute il giorno in cui l'Olivi mi disse che in nessun caso sarebbe 
rimasto da me oltre il mese dopo. 
A casa preparammo un po' di biancheria in un baule e subito di sera andammo dal dottor 
Muli. 
tEgli ci accolse in persona alla porta. Allora il dottor Muli era un bel giovane. Si era in 
pieno d'estate ed egli, piccolo, nervoso, la faccina brunita dal sole nella quale brillavano 
ancor meglio i suoi vivaci occhi neri, era l'immagine dell'eleganza, nel suo vestito bianco 
dal colletto fino alle scarpe. Egli destò la mia ammirazione, ma evidentemente ero anch'io 
oggetto della sua. 
Un po' imbarazzato, comprendendo la ragione della sua ammirazione, gli dissi: 
- Già: Ella non crede né alla necessità della cura né alla serietà con cui mi vi accingo.
Con un lieve sorriso, che pur mi ferí, il dottore rispose: 
- Perché? Forse è vero che la sigaretta è piú dannosa per lei di quanto noi medici 
ammettiamo. Solo non capisco perché lei, invece di cessare ex abrupto di fumare, non si 
sia piuttosto risolto di diminuire il numero delle sigarette che fuma. Si può fumare, ma 
non bisogna esagerare. 
In verità, a forza di voler cessare del tutto dal fumare, all'eventualità di fumare di meno 
non avevo mai pensato. 
Ma venuto ora, quel consiglio non poteva che affievolire il mio proposito. Dissi una 
parola risoluta: 
- Giacché è deciso, lasci che tenti questa cura. 
- Tentare?--e il dottore rise con aria di superiorità.--Una volta che lei vi si è accinto, la 
cura deve riuscire. Se Lei non vorrà usare della sua forza muscolare con la povera 
Giovanna, non potrà uscire di qua. Le formalità per liberarla durerebbero tanto che nel 
frattempo ella avrebbe dimenticato il suo vizio. 
Ci trovavamo nell'appartamento che m'era destinato a cui eravamo giunti ritornando a 
pianoterra dopo di essere saliti al secondo piano. 
- Vede? Quella porta sbarrata impedisce la comunicazione con l'altra parte del 
pianterreno dove si trova l'uscita. Neppure Giovanna ne ha le chiavi. Essa stessa per 
arrivare all'aperto deve salire al secondo piano ed ha solo lei le chiavi di quella porta che 
si è aperta per noi su quel pianerottolo. Del resto, al secondo piano c'è sempre 
sorveglianza. Non c'è male nevvero per una casa di salute destinata a bambini e puerpere? 
E si mise a ridere, forse all'idea di avermi rinchiuso fra bambini. 
Chiamò Giovanna e me la presentò. Era una piccola donnina di un'età che non si poteva 
precisare e che poteva variare fra' quaranta e i sessant'anni. Aveva dei piccoli occhi di 
una luce intensa sotto ai capelli molto grigi. Il dottore le disse: 
- Ecco il signore col quale dovete essere pronta di fare i pugni. 
Essa mi guardò scrutandomi, si fece molto rossa e gridò con voce stridula: 
- Io farò il mio dovere, ma non posso certo lottare con lei. Se lei minaccerà, io chiamerò 
l'infermiere ch'è un uomo forte e, se non venisse subito, la lascerei andare dove vuole 
perché io non voglio certo rischiare la pelle! 
Appresi poi che il dottore le aveva affidato quell'incarico con la promessa di un 
compenso abbastanza lauto, e ciò aveva contribuito a spaventarla. Allora le sue parole 
m'indispettirono. M'ero cacciato volontariamente in una bella posizione! 
- Ma che pelle d'Egitto!--urlai.
- Chi toccherà la sua pelle?--Mi rivolsi al dottore:--Vorrei che questa donna sia avvisata 
di non seccarmi! Ho portati con me alcuni libri e vorrei essere lasciato in pace. 
Il dottore intervenne con qualche parola di ammonimento a Giovanna. Per scusarsi, costei 
continuò ad attaccarmi: 
- Io ho delle figliuole, due e piccine, e devo vivere. 
- Io non mi degnerei di ammazzarla,--risposi con accento che certo non poteva rassicurare 
la poverina. 
Il dottore la fece allontanare incaricandola di andar a prendere non    
    
		
	
	
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