sessanta cittadini dei più ricchi e più onorati, 
alla cura dei quali era commesso tutto il reggimento. 
Mastro Jacopo non era solamente pittore, ma pizzicava eziandio 
d'architetto. E perchè in Arezzo scarseggiavano le acque, fin dal tempo 
dei Goti, che avevano guasti i condotti onde l'acqua scendeva dal 
poggio di Pori in città, fu commesso a mastro Jacopo di ricondurvela. Il 
che egli fece a sua lode, portandola per nuovi canali fin sotto le mura, 
ad una fonte detta allora dei Guinicelli, e poscia, corrottamente, dei 
Veneziani. 
Ma questo sono notizie che importano poco al soggetto. Passiamo, 
dunque, senza fermarci troppo sull'architettura di mastro Jacopo, e 
raccontiamo ai lettori che da molti anni il degno artefice aveva messo 
su famiglia, e viveva felice, come può esserlo un uomo in questa valle 
di lagrime, che non è tutta una Val di Chiana, pur troppo. Intanto, 
seminava dei suoi affreschi tutte le chiese di Arezzo, facendo prova di 
una maniera e dì una pratica maravigliosa. 
Un'altra fortuna era toccata a mastro Jacopo; quella io vo' dire di 
mostrare ad un altro, e con frutto, i principii di quell'arte che a lui aveva 
insegnata il Gaddi. Ai giorni nostri i pittori non fanno più scuola, o non 
si rodono di avere dei buoni discepoli, come una volta. Ogni artista 
lavora per sè, gelosamente tappato nel suo studio, quasi temendo che 
altri gli rubi il tocco, o l'impasto dei colori. Ma in quei tempi di vita 
rigogliosa per l'arte, era una festa aver gente dattorno, e un pittore non 
si teneva per maestro, se non aveva una mezza dozzina di scolari, uno 
dei quali, uno almeno, di più facile ingegno e di più pronta volontà, 
seguitasse la maniera, serbasse le tradizioni del principale e facesse 
onore alla scuola.
Di questi scolari, o garzoni, o fattori (come si dicevano in quel tempo 
che lo studio d'un pittore si chiamava bottega) mastro Jacopo ne aveva 
parecchi; ma uno solo meritava il nome di discepolo, e si domandava 
Spinello, figlio ad un certo Luca Spinelli, fiorentino, che era andato 
forse vent'anni addietro ad abitare in Arezzo, quando, una volta fra 
l'altre erano stati discacciati da Firenze i Ghibellini. Arezzo, se nol 
sapete, era ghibellina nell'anima. 
Spinello Spinelli era un bel giovinottino, nato pittore come Giotto, e 
inclinato fin da fanciullo ad operare nel disegno tali miracoli, che non 
si sarebbero creduti possibili senza la disciplina di ottimi maestri. 
Jacopo di Casentino, veduti i suoi tocchi in penna, lo aveva voluto a 
bottega. E Spinello non si era fatto pregare; che anzi, moriva dalla 
voglia di andarci, specie dopo che aveva veduta e ammirata nel Duomo 
vecchio la più bell'opera di mastro Jacopo. 
Ora, la più bell'opera di mastro Jacopo, che Spinello potesse ammirare 
nel Duomo vecchio, non era già il ritratto di papa Innocenzo VI, come 
qualcuno potrebbe credere a tutta prima. La più bell'opera di mastro 
Jacopo era madonna Fiordalisa, a lui nata in Firenze, quando egli stava 
laggiù, ai servigi del Gaddi. 
Dico Fiordalisa, per non ingenerar confusione. Ma i toscani d'allora non 
sentivano nessuna ripugnanza a dire madonna Fiordaliso, in quella 
stessa guisa che non ne sentivano a dire madonna Fiore, madonna 
Belcolore, e via di questo passo, concordando un nome mascolino con 
un nome femminile. Del resto, la grazia e l'eleganza femminile c'erano 
tutte, nel viso di madonna, spiravano da ogni parte della sua bella 
persona, e le desinenze non ci avevano nulla a vedere. 
Fiordalisa, nata a Firenze, era in Arezzo da pochi mesi; ma fin dai primi 
giorni del suo arrivo colà, era stata veduta, notata e riconosciuta come 
un miracolo di bellezza. È facile che si nasconda un grand'uomo, in 
mezzo alla moltitudine, e che rimanga ignoto, in una città nuova per lui; 
ma non c'è caso che si nasconda egualmente una bella ragazza. Il primo 
che l'ha vista, poniamo anche di sbieco, ne passa parola ad un altro, e 
questi ad un terzo, anche prima di averla intravveduta lui; donde 
avviene che fin dal primo giorno che è stata annunziata la selvaggina,
un centinaio di bracchi da punta sieno sguinzagliati alla macchia. 
Ora, i giovinotti d'Arezzo non s'erano mica indugiati per istrada; 
avevano scoperto subito la bella fiorentina, l'avevano scovata, levata, 
come i suoi concittadini avrebbero levato il grillo dal buco, la mattina 
dell'Ascensione. Fiordalisa non esciva di casa che i dì di festa, per 
andare nel Duomo vecchio agli uffizi divini. Ma tanto bastava perchè la 
vedessero tutti, e perchè ci fossero di gran capannelli sul sagrato del 
Duomo, quando ella doveva passare. 
Spinello Spinelli l'aveva vista a quel modo, come tutti gli altri. Era un 
giovinotto allegro, che portava il cervello sopra la berretta. Ma da quel 
giorno che vide madonna Fiordalisa, incominciò a pensare con qualche 
rammarico alla sua condizione, che non gli permetteva di passare avanti 
a    
    
		
	
	
	Continue reading on your phone by scaning this QR Code
 
	 	
	
	
	    Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the 
Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.
	    
	    
