di quello che non sia della gloria passata dei miei antenati." 
Grida di viva approvazione partirono dalla folla; il sor Domenico aveva 
le lagrime agli occhi e cercava la mano del principe per istringerla. 
Fabio Rosati gli s'era accostato e pareva che chiedesse i suoi ordini, 
quando Caruso lentamente si alzò e volgendo intorno uno sguardo 
dubbioso di sopra alle lenti, chinò la testa in atto di saluto incontrando 
gli occhi di don Pio, e quando la folla, per ordine dei soliti capi, fu 
ricondotta al silenzio, egli prese a dire:
"Il principe della Marsiliana ha con brevi parole svolto tutto un 
programma di cui l'idea fondamentale consiste nel trasportare nel 
Trastevere un centro di attività e di lavoro. 
"Questa idea non è una idea nuova, sorta nel momento delle elezioni, 
suggerita dal bisogno di procacciarsi dei voti, no, quest'idea è stata 
lungamente studiata ed elaborata dal nostro candidato." 
Il principe meravigliato da quelle parole, e credendo di sognare, non 
osava alzar gli occhi per non incontrare quelli dell'oratore nè quelli del 
Rosati, il quale con la testa dava lievi segni di approvazione e 
ammirava la furberia e la sfacciataggine di Caruso. 
"Io, che seguii quel lavorìo paziente ed accurato, degno di una mente 
vasta e educata a tutte le più nobili discipline dell'economia moderna, 
io che ebbi l'onore di essere il confidente del principe durante lo 
svolgimento della nobile idea, io posso esporvi il vasto piano concepito 
da don Pio Urbani. Egli vorrebbe vedere Roma circondata da una 
cintura di ferrovia che avesse la stazione principale qui nel Trastevere, 
quella di smistamento a San Giovanni e quella di piccola velocità ai 
Prati di Castello. Inutile dirvi che l'attuazione di questo disegno farebbe 
salire enormemente il prezzo dei terreni nelle tre località indicate e 
darebbe un grande sviluppo alle costruzioni, portando qui, dove 
specialmente siamo, molta gente, molte forze e molto denaro." 
Don Pio, benchè assuefatto a non meravigliarsi di nulla, era 
assolutamente annichilito da tanta sfacciataggine, e continuava a tenere 
gli occhi nel piatto. Da principio, udendo Caruso, aveva provato la 
voglia di fare una risatina sarcastica, ora s'era fatto serio perchè capiva 
che quell'uomo s'imponeva a lui in forza del servizio resogli e creava 
fra di loro una specie di complicità. Un resto di onestà, un sentimento 
di pudore lo spingevano a protestare, ma il pensiero del fine cui mirava, 
troncavagli le parole in bocca e lo induceva a lasciare che le cose 
andassero per la china su cui avevale avviate Caruso, purchè riuscisse 
eletto. 
I popolani del Trastevere, abbacinati da quel miraggio d'interessi e di 
guadagni, erano tutti concordi nel vedere in don Pio l'unico candidato,
il solo candidato serio, e non pensavano più alle simpatie della 
principessa della Marsiliana per i clericali, non osavano più 
rimproverare al principe l'inerzia di cui aveva dato prova per il passato. 
Appena Caruso ebbe cessato di parlare, un evviva frenetico, 
accompagnato dall'inno di Garibaldi, echeggiò per la sala bassa, tutte le 
mani si protesero per cozzare i bicchieri ricolmi, e don Pio, turbato, 
dovette partecipare al brindisi. 
--In bocca al lupo,--gli disse Caruso avvicinando il proprio bicchiere a 
quello di don Pio. 
--Grazie,--disse il principe, guardandolo senza sorridere. 
Fabio Rosati s'era alzato e andava da una tavola all'altra distribuendo 
strette di mano, raccogliendo le parole lusinghiere per il principe con 
l'intenzione di ripetergliele poi. 
--Ve lo dicevo che non c'era altri che lui, che il voto era ben 
dato?--ripeteva egli a quanti gli parlavano della stazione in 
Trastevere.--Bella mente, idee larghe, idee nuove e un cuore d'oro. 
In quel tempo don Pio era assalito dalle domande dell'on. Serminelli, il 
quale voleva gli svolgesse meglio l'idea cui aveva accennato. Don Pio, 
non sapendo che cosa rispondere, guardava Caruso, ma questi aveva 
attaccato discorso con un popolano, che aveva accanto, e fingeva di non 
badare a lui. 
--Ma è una sorpresa che ci avete fatta,--diceva l'onorevole il quale 
aveva nel principe uno dei più validi elettori, poichè don Pio era un 
grande proprietario di terreni sul Fucino. 
Don Pio esitò a rispondere, ma finalmente, accettando la situazione tal 
quale avevala creata Caruso, disse: 
--Ci voleva la bomba, ci voleva, non vi pare? 
Caruso intanto, con le orecchie tese, non perdeva una parola di quanto 
diceva il principe della Marsiliana e gongolava lasciando pendere il
labbro inferiore, e ponendosi i pollici nei taschini della sottoveste con 
un fare di grasso beato. 
Tutti erano contenti, tutti, anche il sor Domenico, il quale andava 
ripetendo fra i suoni stanchi della musica che l'elezione era assicurata, 
tutti, meno Fabio Rosati, il quale provava pel Caruso un senso di 
repulsione e nella sua onestà si meravigliava che il principe tacesse, che 
il principe tollerasse quello che a lui pareva un insulto. 
Ma come avviene spesso, invece di togliere a don Pio la grande stima 
che gli tributava da lungo tempo,    
    
		
	
	
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