delle cittá e li furiosi impeti della Fortuna, niun altro 
cercanti che l'alte cose, non si seppe o non si poté dalla tua dolcezza 
guardare. 
Fermossi adunque Dante a volere seguire gli onori caduchi e la vana 
pompa dei publici ofici; e, veggendo che per se medesimo non potea 
una terza parte tenere, la quale, giustissima, l'ingiustizia dell'altre due 
abbattesse, tornandole ad unitá; con quella s'accostò, nella quale, 
secondo il suo giudicio, era piú di ragione e di giustizia; operando 
continuamente ciò che salutevole alla sua patria e a' cittadini conoscea. 
Ma gli umani consigli le piú delle volte rimangon vinti dalle forze del 
cielo. Gli odii e l'animositá prese, ancora che sanza giusta cagione nati 
fossoro, di giorno in giorno divenivan maggiori, in tanto che non senza 
grandissima confusione de' cittadini, piú volte si venne all'arme con 
intendimento di por fine alla lor lite col fuoco e col ferro: sí accecati 
dall'ira, che non vedevano sé con quella miseramente perire. Ma, poi 
che ciascuna delle parti ebbe piú volte fatta pruova delle sue forze con 
vicendevoli danni dell'una e dell'altra; venuto il tempo che gli occulti
consigli della minacciante fortuna si doveano scoprire, la fama, 
parimente del vero e del falso rapportatrice, nunziando gli avversari 
della parte presa da Dante, di maravigliosi e d'astuti consigli esser forte 
e di grandissima moltitudine d'armati, sí gli prencipi de' collegati di 
Dante spaventò, che ogni consilio, ogni avvedimento e ogni argomento 
cacciò da loro, se non il cercare con fuga la loro salute; co' quali 
insieme Dante, in un momento prostrato della sommitá del reggimento 
della sua cittá, non solamente gittato in terra si vide, ma cacciato di 
quella. Dopo questa cacciata non molti dí, essendo giá stato dal 
popolazzo corso alle case de' cacciati, e furiosamente votate e rubate, 
poi che i vittoriosi ebbero la cittá riformata secondo il loro giudicio, 
furono tutti i prencipi de' loro avversari, e con loro, non come de' 
minori ma quasi principale, Dante, sí come capitali nemici della 
republica dannati a perpetuo esilio, e li loro stabili beni o in publico 
furon ridotti, o alienati a' vincitori. 
 
X 
SI MALEDICE ALL'INGIUSTA CONDANNA D'ESILIO 
Questo merito riportò Dante del tenero amore avuto alla sua patria! 
questo merito riportò Dante dell'affanno avuto in voler tôrre via le 
discordie cittadine! questo merito riportò Dante dell'avere con ogni 
sollecitudine cercato il bene, la pace e la tranquillitá de' suoi cittadini! 
Per che assai manifestamente appare quanto sieno vòti di veritá i favori 
de' popoli, e quanta fidanza si possa in essi avere. Colui, nel quale poco 
avanti pareva ogni publica speranza esser posta, ogni affezione 
cittadina, ogni rifugio populare; subitamente, senza cagione legittima, 
senza offesa, senza peccato, da quel romore, il quale per addrieto s'era 
molte volte udito le sue laude portare infino alle stelle, è furiosamente 
mandato in inrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad 
eterna memoria della sua virtú! con queste lettere fu il suo nome tra 
quegli de' padri della patria scritto in tavole d'oro! con cosí favorevole 
romore gli furono rendute grazie de' suoi benefici! Chi sará dunque 
colui che, a queste cose guardando, dica la nostra republica da questo 
piè non andare sciancata?
Oh vana fidanza de' mortali, da quanti esempli altissimi se' tu 
continuamente ripresa, ammonita e gastigata! Deh! se Cammillo, 
Rutilio, Coriolano, e l'uno e l'altro Scipione, e gli altri antichi valenti 
uomini per la lunghezza del tempo interposto ti sono della memoria 
caduti, questo ricente caso ti faccia con piú temperate redine correr ne' 
tuoi piaceri. Niuna cosa ci ha meno stabilita che la popolesca grazia; 
niuna piú pazza speranza, niuno piú folle consiglio che quello che a 
crederle conforta nessuno. Levinsi adunque gli animi al cielo, nella cui 
perpetua legge, nelli cui eterni splendori, nella cui vera bellezza si potrá 
senza alcuna oscuritá conoscere la stabilitá di Colui che lui e le altre 
cose con ragione muove; accioché, sí come in termine fisso, lasciando 
le transitorie cose, in lui si fermi ogni nostra speranza, se trovare non ci 
vogliamo ingannati. 
 
XI 
LA VITA DEL POETA ESULE SINO ALLA VENUTA IN ITALIA 
DI ARRIGO SETTIMO 
Uscito adunque in cotal maniera Dante di quella cittá, della quale egli 
non solamente era cittadino, ma n'erano li suoi maggiori stati 
reedificatori, e lasciatavi la sua donna, insieme con l'altra famiglia, 
male per picciola etá alla fuga disposta; di lei sicuro, percioché di 
consanguinitá la sapeva ad alcuno de' prencipi della parte avversa 
congiunta, di se medesimo or qua or lá incerto, andava vagando per 
Toscana. Era alcuna particella delle sue possessioni dalla donna col 
titolo della sua dote dalla cittadina rabbia stata con fatica difesa, de' 
frutti della quale essa sé e i piccioli figliuoli di lui assai sottilmente 
reggeva; per la qual cosa povero, con industria disusata gli convenia il 
sostentamento    
    
		
	
	
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