guardie, le ronde, gli esercizi e per giunta quel maledetto 
caprone....-- 
Marco passeggiava da più di mezz'ora sulla piattaforma del forte: dopo 
d'essersi assicurato di avere al collo il suo rosarino, se ne stava un poco 
più tranquillo: egli guardava sul mare, che in quella sera quietissimo 
rifletteva i raggi della luna; più lungi sulla dorata superficie delle acque 
le nere moli dei navigli ancorati alla rada con le loro antenne disegnanti 
altrettante linee scure nel cielo sereno, da un lato gli scogli pur essi neri 
cui il barlume del cielo dava mille forme bizzarre; quindi il molo, le 
circostanti fortezze e parte della città, sepolta nel silenzio e nella quiete. 
Se il nostro Marco fosse stato un poeta, chi sa quali versi gli avrebbe 
ispirato la magnifica scena di cui era spettatore? ma egli era contadino 
e recluta, e trovava più poesia nel ricordo delle serate in cui faceva i 
panieri al podere di Montemassi che in quel panorama il quale gli si 
parava dinanzi. Sulla punta delle dita ei contava i minuti che gli 
restavano a passare in fazione, e già si rallegrava al pensiero di 
ritornare al guardiolo e scaldarsi al braciere stendendosi sul pancaccio, 
quando.... (mirate un poco se aveva disgrazia sì o no): quando in un 
naviglio ad alberatura latina ancorato ad un quarto di miglio dal forte
parvegli di scorgere un lume il cui raggio strisciando sul livello delle 
acque era venuto a riverberargli sulla lucida canna del fucile che aveva 
in braccio. Marco seguì coll'occhio quel lume, che si mosse e si calò al 
fianco del naviglio: la mercè di questo lume, il nostro milite riuscì a 
vedere un corpo di non gran volume il quale dal naviglio passò in una 
barca assai sottile che stavagli a tribordo; questa barca, leggiera 
leggiera, scivolando sulle onde, staccossi dal bastimento e si diresse in 
una linea retta verso il forte. Il nostro Marco non vide più il lume, ma i 
suoi sguardi non potevano staccarsi dalla barchetta, la quale pareva 
contenere un solo remigante, di cui per altro non bene distinguevasi la 
figura. Giunta che fu a circa cento braccia dal lido, la barca si fermò 
come arenata sulla sabbia. 
Questo è un contrabbando, pensò Marco, e alzò il cane del suo 
archibuso gridando: Chi vive? Nessuno rispose. 
L'ho detto io, ripetè fra sè, è un contrabbandiere; ma per mia fè gli 
voglio fare scontar la paura di quest'ora di fazione. 
--Chi vive? ripetè; e levatosi il fucile dal braccio, se lo pose alla spalla. 
--Chi vive? finalmente urlò e prese di mira l'individuo, che, 
abbandonati i remi della barchetta, sembrava disposto a saltare in mare 
profittando del basso fondo. Non avendo Marco udito risposta, si 
accinse al suo dovere e già toccava lo scatto del fucile: un solo minuto 
secondo, ed era bella e finita pel misterioso guidatore della barchetta, 
poichè Marco era buon tiratore; ma ahimè! la luna, uscendo 
limpidissima dalle nuvole, aveva permesso all'occhio di Marco di 
discernere colui sul quale stava per esplodere.... e chi era desso? Un 
caprone; sì, un caprone più alto di tutti i caproni del Tibet, con ramose 
corna, con barbigi e quant'altro forma la razza lanuta dei capri. Marco 
di uomo divenne una statua, l'occhio suo rimase come petrificato 
nell'orbita; egli stesso in tutta la persona sentì gelarsi il sangue; il dito 
s'inchiodò sullo scatto, non gli fu possibile alcun movimento, e solo di 
vita gli restò la facoltà di vedere, e troppo ei vide. Il capro, senza darsi 
il menomo pensiero della canna del fucile diretta in linea del suo capo, 
tranquillamente balzò nelle acque, si accostò al basso muro, lo scalò 
come cosa a lui facilissima, rasentò il margine del fosso di Santa
Trinità e quindi fu perduto di vista allo sbocco dello scalo del ponte 
della Crocetta, Poco dopo suonò mezzanotte; il soldato che venne a 
dare la muta al povero Marco lo trovò tuttavia immobile, coll'archibuso 
in atto di far fuoco; e quando lo trassero di là, egli parlava come un 
demente, non avendo per altro schiuso la bocca se non se dopo molte 
ore, allorchè in grave pericolo di vita riprese i sensi allo spedale di 
Sant'Antonio. 
Durante le ore in cui e Marco e i militi di guardia alla fortezza vecchia 
alternavano la scolta e la stanzetta del guardiolo, una scena ben diversa 
accadeva nel quartiere della Venezia nuova da noi accennato e 
precisamente all'osteria dei Tre Mori, posta nel vicolo che dalla 
Crocetta mette alla via di Sant'Anna, via remota, solinga, del peggio 
quartiere di Livorno, dove un galantuomo non può passare pei fatti suoi 
nella notte senza pericolo di essere gratuitamente sventrato, e di giorno 
senza che gli sia rubata la pezzuola, l'oriuolo o la borsa. 
L'osteria dei Tre Mori non aveva insegna e nè anche la frasca 
indispensabile ai    
    
		
	
	
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