a Gherardin venne 
un serpente;
e uno grande orso (ciò dicon le carte)
assalí Marco Bel 
subitamente:
tali eran fatti star solo per arte,
uomini solean esser 
primamente;
e cosí gli assaliron su la strada,
onde ciascun cacciò 
mano alla spada. 
13 
E lo serpente, per l'aria volando,
davanti a Gherardin trasse a ferire;
e Gherardin si difendea col brando,
però che sapea ben dello 
schermire;
dicendo:--Iddio, a te mi raccomando:
non mi lasciar cosí 
impedimentire!--
però che unque 'l serpente lo toccava
coll'ale, tutte 
l'arme gli tagliava. 
14 
A Gherardin ne paria molto male
che lo serpente gli facia tal guerra:
ficcò la spada nel mezzo dell'ale,
davagli un colpo, se 'l cantar non 
erra,
che fu per lui sí pessimo e mortale,
che di presente cadde
morto in terra;
e, nel cader che fe', misse gran guai,
e disparí che 
non si vidde mai. 
15 
Morto il serpente, e Gherardin provide
a Marco Bel, che combattea 
coll'orso,
gridando a voce:--L'orso mi conquide,
se da te, Gherardin, 
non hoe soccorso.--
E Gherardin, che suo fatto ben vide,
sprona il 
ronzino e inver' di lui fu corso;
e, come l'orso lo vidde venire,
Marco lascioe, e lui trasse a ferire. 
16 
Uno animal cosí feroce e visto,
che non si vidde mai tra l'altre fiere,
che colla branca quel ronzin fe' tristo,
che morto cadde sotto al 
cavaliere.
Gherardin chiama forte:--Iesú Cristo,
ora m'aiuta, che mi 
fae mestiere!--
E da Marco non potea avere aiuto,
però che avea 
ogni valor perduto. 
17 
E Gherardin si levò prestamente:
colla sua spada giá non fece resta,
e ferí l'orso nequitosamente:
davali un colpo di sopra la testa,
che lo 
fendeva infino al bianco dente;
e Marco Bel di ciò facea gran festa!
E, nel cader, disse l'orso:--Donzello,
tu hai morto il signor d'esto 
castello!-- 
18 
E Gherardin, ch'avea la bestia morta,
maravigliossi che l'udí parlare:
nella sua mente tutto si conforta.
A quel palagio presono ad andare;
e, quando fûrno giunti a quella porta,
e Marco Bello incominciò a 
picchiare,
la porta fue aperta immantanente:
ma chi l'aperse non 
videro neente. 
19
Dismontarono e fûr sopra alla scala
que' che l'un l'altro ma' non 
abandona.
E, quando fûrno giunti in su la sala,
non vi trovâr né 
bestia né persona.
In quello tempo lo freddo non cala.
Uno con 
l'altro insieme si ragiona.
Per tal maniera dimorando un poco,
ad un 
cammin vidon racceso un fuoco. 
20 
Sicché ciascun si facea maraviglia;
ché chi 'l facesse non potien 
vedere.
Guardandosi d'intorno a basse ciglia,
per iscaldarsi 
andarono a sedere.
Fra loro insieme ciaschedun pispiglia:
--Se da 
mangiare avessimo e da bere,
avventurati sarem sette tanti
piú che 
non fûrno i cavalieri erranti!-- 
21 
Benché persona non vi si vedesse,
ciò che dicien fra lor erano intesi;
e tavole imbastite furon messe,
fornite ben di molti belli arnesi:
ceri e lumiere v'eran molte e spesse;
e que' baroni per le man fûr presi.
Quando a tavola furono i baroni,
recate fûr di molte imbandigioni. 
22 
Molto fûr ben serviti a quella cena,
ma non vedien sergenti né 
scudieri;
e poi, istando in cosí fatta mena,
avevan sopra ciò molti 
pensieri;
onde ciascun di lor ne stava in pena,
e quasi non 
mangiavan volentieri.
E, quando ebben cenato, e' ritornarono
al 
fuoco, donde prima si levarono. 
23 
Quando fu tempo d'andare a dormire,
in bella zambra ciascun fu 
menato,
e a uno bel letto, ch'io nol potrei dire.
Bel Gherardin vi si 
fu coricato,
ed una damigella, a lo ver dire,
si fue spogliata di 
presente a lato,
dicendo:--Non aver di me spavento,
ch'io son colei 
che ti farò contento.--
24 
E Gherardin, che le parole intese,
rassicurato fu co' lei nel letto;
e la 
donzella fra le braccia prese,
che di bellezze non avea difetto;
e 
sopra il bianco petto si distese,
baciando l'un l'altro con gran diletto.
E, s'egli è vero quel che il cantar mostra,
piú e piú volte d'amor 
feciono giostra. 
25 
Signor', sacciate che questa donzella
si faceva chiamar la "Fata 
bianca",
e mantenea cittadi e castella
con molta quantitá, se il dir 
non manca.
Del serpente e dell'orso era sorella:
delle sette arti 
vertudiosa e franca,
contrafatti per arte gli fea stare,
per poter 
meglio il suo signoreggiare. 
26 
Quando ebbono assaggiato il dolce pome,
avendo l'uno l'altro al suo 
dimino,
la Fata bianca il domandò del nome,
e egli rispuose:--Lo 
Bel Gherardino.--
E po' sí le contò il perché e il come
della cittá di 
Roma e' si partîno,
e come ciò che in questo mondo avía,
tutto 
l'avea dispeso in cortesia. 
27 
E, quando quella damigella intese
come cortese e largo egli era istato,
d'una amorosa fiamma il cor l'accese,
che non trovava posa in 
nessun lato;
e Gherardino fra le braccia prese,
e con bramosa voglia 
l'ha baciato.
Ed e', veggendo la sua innamoranza,
come da prima 
incominciò la danza. 
28 
Come del giorno apparve alcuno albore,
la Fata bianca in piè si fu 
levata,
ed una roba d'un ricco colore
a lo Bel Gherardin ebbe recata.
E poi a Marco Bel, suo servidore,
un'altra bella n'ebbe rapportata.
E quando tempo fu, sí si levarono;
vestirsi quegli, e li lor non 
trovarono. 
29 
Se Gherardin parea prima giocondo
ch'avesse roba di si gran valenza,
ben parea poi signor di questo mondo,
tanto era bella la sua 
appariscenza!
Di zambra uscí, e Marco Bello secondo,
che non 
v'era persona di presenza,
se non quella donzella che gli guata,
che 
nolla veggon, perché sta celata. 
30 
Disse Bel Gherardino allo scudiere:
--Andiamo un poco di fuori    
    
		
	
	
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